Feeds:
Articoli
Commenti

Una tonalità delicata di pesca, a metà tra il rosa e l’arancione, che trasmette subito una sensazione avvolgente. Questo il Peach Fuzz 13-1023, colore Pantone 2024.

Pantone dichiara che il colore scelto “doveva esprimere il nostro desiderio di vicinanza alle persone care e la gioia che proviamo quando viviamo davvero nel modo che vogliamo e riusciamo a prenderci un momento di pace per noi stessi. Doveva essere un colore avvolgente e caldo che infondesse un messaggio di compassione ed empatia, un colore corroborante con una sensibilità gentile che unisse le persone.”

L’augurio è che Peach Fizz 2024 apra ad un tempo nuovo di Gentilezza.

Epifania, luce sia

“I magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino.” – San Giovanni Crisostomo

L’uomo è cammino, quindi luce. Ovvero Alto, Pace, Fratellanza.

Che la magica apparizione dell’Epifania possa farcelo ricordare.

A ricordare il geniale Giorgio Gaber a vent’anni dalla scomparsa il documentario Rai di Riccardo Milani dal titolo “Io, noi e Gaber”, un affettuoso omaggio da parte della figlia Dalia, del suo coautore (e consuocero) Sandro Luporini, colleghi (Mogol, Morandi, Gianco, Fossati, Jovanotti, Jannacci figlio) e amici (Mollica, Serra, Bisio, Bernardini, Capanna, Harari, Gino & Michele).

Ne viene fuori un ritratto ricco delle diverse sfumature del Signor G.: l’anima pop e televisiva che lo vedeva esibirsi con leggerezza insieme a Celentano, Jannacci, Mina, ma anche l’uomo di teatro generoso sul palco nel raccontare la rabbia e la speranza, e quel Poeta visionario e ironico che ha cantato la “pasta” di cui siamo fatti.

Come ha detto il regista Milani, “Giorgio Gaber va visto e ascoltato, adesso più che mai, perché intercetta il meglio di ognuno noi: il senso critico, il concetto di libertà, il coraggio, il senso della comunità, la passione civile. Ci sveglia dal torpore e ci fa rialzare la testa“.

Un Poeta Giorgio Gaber. E i suoi testi ci parlano oggi come ieri. Continuando a farlo anche domani.

Buon Anno 2024

Auguri di cose belle a tutti i viaggiatori di espress451…

Buon 2024!

Harry Grab, “Children”, Roma – dicembre 2023

Anno 2023, ovvero del fuori misura, del sottosopra, degli oltrepassati limiti. Insomma dell’indecenza umana nella sua indifferenza e tracotanza.

Due guerre “maggiori” (per non citare tutte le violenze su diverse zone del mappamondo) a seminare morte, una in territorio ucraino ormai stabilmente permanente e l’altra nella Striscia di Gaza avviata ad esserlo. Con un portato di vittime, soprattutto bambini, indicibile. Ma con un mercato delle armi sempre più fiorente.

Un pianeta che soffre dei nostri avventati comportamenti, destinato ad essere via via più caldo e afflitto da eventi climatici estremi. Con le piogge divenute alluvioni, neve e ghiaccio in continua riduzione, specie animali a rischio di estinzione.

Le donne che faticano a vivere le loro scelte di autodeterminazione. Ad ogni latitudine. Lontana, ma anche nostrana. Una sconfitta che la parola “femminicidio” sia stata scelta da Treccani quale parola del 2023.

Attenzione sempre più scarsa per chi è migrante, fragile, povero. O anche lavoratore, con sicurezza e diritti dimenticati. Così come i valori costituzionali, fondamento cardine di democrazia reale.

Chiuso il ‘900 dei politici di peso, da Silvio Berlusconi a Giorgio Napolitano, fino a Henry Kissinger, attento analista del “secolo breve”.

E abbiamo dovuto salutare chi ci aiutava a leggere il mondo, da Maurizio Costanzo a Gianni Minà, da Michela Murgia ad Andrea Purgatori. O ce lo raccontava, da Paolo Portoghesi a Fernando Botero, da Milan Kundera a Gianni Vattimo, da Corman McCarthy a Francesco Alberoni. O ce lo rendeva leggero, da Gina Lollobrigida a Francesco Nuti, da Tina Turner ad Elliot Erwitt, da Jane Birkin a Gianluca Vialli.

La nuova frontiera sembra essere l’Intelligenza Artificiale, specie quella Generativa. Che, a dispetto del nome, può anche produrre ciò che realtà non è. Quindi necessita, al più presto, di regole e limiti. Per evitare il già debordante sottosopra.

Presepe di Greccio

Il 29 novembre 1223 San Francesco, ricevendo da Papa Onorio III l’approvazione definitiva della Regola, chiese al Pontefice la licenza di poter rappresentare la Natività, essendo stato impressionato, dopo il viaggio in Palestina, da Betlemme. Tale luogo Francesco lo rivedeva in Greccio, un paesino dell’Italia centrale dove si era stabilito da qualche anno.

Al cavaliere Giovanni Velita, notabile del posto, disse: “Voglio celebrare la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante.” 

Così fu grazie a tutta la comunità, e Greccio divenne la nuova Betlemme, punto di riferimento dell’intera Cristianità.

E da allora è Presepe, la Mangiatoia Sacra, per tutti.

Giotto, “Il Presepe di Greccio” da Storie di san Francesco, Assisi Basilica Superiore, 1295-1299

Buon Natale

Illustrazione di Pascal Campion

Con l’augurio affettuoso che speranza e gioia invadano i nostri interni circuiti.

Che sia un Sereno Natale per tutti, in particolare per i viaggiatori di espress451.

Betlemme, “La Grotta del Latte”

In attesa…

Quando sento mie allieve sedicenni dire “Prof, non abbiamo tempo di far nulla, non riusciamo neppure a trovarci per raccontarci i nostri pensieri“, penso che il mondo non solo sia su una brutta china, ma sia proprio finito in un buco nero.

Possibile una tale distorsione, nel senso di restringimento, temporale senza che la scienza se ne sia accorta? Eppure siamo tutti, giovani e vecchi, in mancanza perenne di tempo. Ormai sembra essere un fatto strutturale.

Persino il calendario dell’Avvento sembra soverchiare il tempo dell’attesa, rendendola ansiogena, con una sottesa mania di controllo mai paga, una corsa senza traguardo goduto, una lancetta (ma forse anche l’altra) a girare impazzita.

Perdendo così di vista, definitivamente, che il poco, ma assaporato, nella vita vale il tutto. Perché ogni casella merita una sosta, senza pensare già alla successiva.

La nuova scuola

Ieri un mio studente quindicenne era in preda ad un dubbio amletico, un vero dissidio interiore. L’oggetto di tanta neuronale concentrazione non era una pena d’amore né il male di vivere, neppure l’infinito del cosmo o le umane fatiche. Era invece travagliato, in vista del termine del primo trimestre (e relativi scrutini) se fosse o no “legale” (termine da lui usato) che un docente non tramutasse, direi d’ufficio, un 5.8 in un dovuto 6.

Mi sono rivista quindicenne liceale e un tale pensiero non avrebbe mai affastellato i miei circuiti mentali. Non perché fosse un altro tempo, bensì perché altra era l’etica di base, consegnata in parte dal mondo circostante ma soprattutto dall’esempio dei genitori. Lo spostamento di colpa fuori da sé non era previsto: se non raggiungevo la sufficienza andava da sé che dovessi studiare di più, e anche solo contemplare la possibilità che fosse colpa del docente non era proprio posta in essere.

Oggi è la pratica consolidata, a partire dai genitori di questi quindicenni, che pensano di risolvere tutto spostando la colpa di un insuccesso o di una frustrazione fuori da sé, sempre. Senza insegnare a cercare dentro sé stessi le spinte per migliorarsi, investendo e credendo nelle proprie caratteristiche, accettando gli inevitabili inciampi, senza vedere l’altro come limite alla propria riuscita.

Anche questa è educazione sentimentale. Anzi, la sua protoforma, l’educazione. Sic et simpliciter.

“Mamma…”

Mamma…

Quando ti penso (e spesso ti penso…) 

ti associo al tempo del dono. 

Preziosa e generosa, amare e dare. 

Indicavi la via senza mappe,

tenendo aperti i cancelli.

Guardavamo insieme il cielo,

luna stelle infinito altrove,

sapendo che poi il viaggio… 

 

Eppure alzo gli occhi e ti so bussola

silente, frullo d’ali, lampo nel buio.

Ancora un tuo dono… E riprendo il cammino…

Stanca, ma grata alla mia fata.”

 

A mamma Marisa