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Archive for novembre 2022

Che tristezza vedere risbobinarsi il solito tragico nastro… Con la Natura a reclamare il suo spazio, ancora una volta, esigendo un dolorosissimo contributo umano.

C’è il cambiamento climatico, è palese. Però a Ischia c’è anche un tasso alquanto elevato, il cinquanta per cento sul totale degli edifici, di abusivismo edilizio. E i condoni sempre promessi, reiterati, continuati. Senza mai considerare che mettere in sicurezza il territorio significa partire proprio da lì. Interrompendo infine la illogica, se non per fini elettorali, catena infinita di condoni. Investendo soldi pubblici come se non ci fosse un domani. Affinché possa esserci.

Ps: come è possibile, per il capriccio di qualcuno, inserire in manovra la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, quando è primario ri-costruire tutto lo sfinito e abusato territorio dello Stivale?

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Illustrazione digitale di Ion Sabrina, 2022, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

La memoria involontaria che agisce attraverso un pezzetto di madeleine inzuppato nel té. E sono “intermittenze del cuore”…

E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione (e proprio ora), per uno schiarimento decisivo. Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità… retrocedo mentalmente all’istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. Chiedo al mio spirito uno sforzo di più…ma mi accorgo della fatica del mio spirito che non riesce; allora lo obbligo a prendersi quella distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a rimettersi in forze prima di un supremo tentativo. Poi, per la seconda volta, fatto il vuoto davanti a lui, gli rimetto innanzi il sapore ancora recente di quella prima sorsata e sento in me il trasalimento di qualcosa che si sposta, che vorrebbe salire, che si è disormeggiato da una grande profondità; non so cosa sia, ma sale, lentamente; avverto la resistenza e odo il rumore degli spazi percorsi…All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio.”

Grazie Marcel Proust.

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Prima di scriverne ho dovuto metabolizzarlo. Fin dalla sua inquietante e geniale locandina: uno scudo crociato, quello della “Democrazia Cristiana”, fatto di rose e spine. Quasi una croce da portare per Aldo Moro, come in effetti nel film si vede per qualche fotogramma.

Vent’anni dopo quel capolavoro che è stato ed è “Buongiorno, notte”, Marco Bellocchio è tornato “sul luogo del delitto”. Rivisitando la dolorissima vicenda Moro da un altro punto di vista rispetto al suo primo film.

Se là era il nascondiglio/cella in cui lo statista fu prigioniero dei Brigatisti Rossi, con un futuribile, seppur impossibile, buon finale, qui è “l’esterno” appunto a raccontare quel sanguinario e folle evento della nostra Repubblica, improvvisamente ritrovatasi nella sua “notte” più lunga e incomprensibile e lacerante.

Ed ecco allora i dissidi interni ed interiori nei partiti italiani, primo tra tutti la “Democrazia Cristiana”, le poco chiare ingerenze straniere, lo strazio riservato e silenzioso della famiglia Moro, le lotte intestine tra gli stessi terroristi intorno alla delittuosa scelta finale. E i tentativi, apparentemente numerosissimi, di salvare il Presidente della DC, dopo che già i cinque uomini della sua scorta avevano pagato un prezzo altissimo per difenderlo. Ma tentativi più di facciata che di sostanza, come se tutto, inspiegabilmente, fosse già scritto. In breve e amaramente, come esprime Bellocchio con lucida chiarezza nelle note di regia, “quell’uomo, come Cristo, ‘doveva morire’. Perché nulla potesse cambiare non solo nella politica, ma nella mente degli italiani”.

Quindi il finale, seppur per qualche attimo sognato ancora possibile di un Moro libero come fu pienamente in “Buongiorno notte”, non può che chiudersi con quell’immagine terribile e storica della Renault rossa col corpo di Aldo Moro insieme alle sue stesse parole dell’ultima lettera alla sua Noretta e ai figli in cui dice: “Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo“.

Parole che ogni volta commuovono, ponendoci di fronte al mistero di quel sacrificio. Politico, ma soprattutto umano.

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Un regista tra i più grandi, Martin Scorsese. Con film entrati di diritto nella storia del cinema, anche grazie a Robert De Niro, suo attore feticcio insieme a Leonardo Di Caprio. Da “Taxi driver”, Palma d’oro 1976 a Cannes, a “The Departed – Il bene e il male”, Oscar 2007 alla regia, passando attraverso “Toro scatenato”, “Quei bravi ragazzi”, “L’età dell’innocenza”, “Shutter Island”, citandone solo alcuni. Riuscendo ad indagare l’istintiva violenza umana, insieme al tema della colpa. Con la capacità di raccontare per immagini le molteplici sfaccettature dell’animo umano.

Grazie Martin Scorsese e buon compleanno!

Ps: compie ottant’anni anche il canarino più famoso, Titti, sempre inseguito, ma invano, da Gatto Silvestro. Auguri!

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L’efebo orante, in occasione della scoperta di un deposito votivo negli scavi di San Casciano dei Bagni, 8 novembre 2022.

I bronzi riemersi dagli scavi di San Casciano, 24 statue votive conservate in perfetto stato all’interno dell’acqua calda della sorgente, muove riflessioni esistenziali rispetto a quelle archeologiche, alquanto ovvie.

Gli oggetti ci sopravvivono. Raccontandoci. Seppur inchiodandoci alla nostra umana transitorietà.

In tanta, e comunque preziosa, “sopravvivenza”, un pensiero corre a chi fatica a “restare vivente” nel breve arco di un’esistenza. Con le acque che a volte non proteggono ma si chiudono nefaste su respiri ancora piccoli, e sguardi di molti che si voltano altrove.

Installazione di Federico Clapis, “Welcome” – 2019

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Le parole che raccontano, incombenti, la Cop27 egiziana, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si sta svolgendo sul Mar Rosso a Sharm el-Sheikh, sono due.

Una è Greenwashing, ovvero “ecologia di facciata”. Accusa lanciata a questa Conferenza da Greta Thunberg (e non solo), che infatti non partecipa. Effettivamente per ora l’attenzione è stata più rivolta all’energia (indispensabile) che al clima (vitale). Come se non fossero interdipendenti.

L’altra è “Diritti umani”. Per quanto si possano fare operazioni di facciata con conferenze climatiche, rimane prioritaria la questione  delle violazioni dei diritti umani, violazioni evidenti nell’Egitto di al-Sisi. Sul caso Regeni nessun passo avanti, così come sulla detenzione di Patrick Zaki. Cosa dire poi dell’attivista di lungo corso Alaa Abdel Fattah, imprigionato con l’accusa di aver diffuso “notizie false”, da mesi a digiuno e ora passato anche allo sciopero della sete, per denunciare tale situazione?

E veniamo al monito, lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “Siamo su un’autostrada verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore. L’umanità ha una scelta da compiere, o cooperare sul clima o morire, o andare verso una solidarietà sul clima o rischiare un suicidio collettivo”.

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Accade di rado che un libro ci sposti da dove siamo, ma quando succede è festa per i propri interni circuiti.

Non è sufficiente che la storia sia avvincente e scritta bene. Per spostarti un libro deve raccontarti qualcosa che metta in discussione il tuo “centro di gravità permanente”, regalandoti nuove possibilità di comportamento o anche solo di visione.

“Eleanor Oliphant sta benissimo” di Gail Honeyman è uno di questi libri, rari, che compiono il miracolo di “spostarti”, ricentrandoti attraverso nuove coordinate di viaggio. Ma in senso concreto, per e con i passi di ogni giorno intorno al mondo, anche quello piccolo, concentrico a noi.

Storia magmatica e fagocitante quella di Eleanor, per cui già dalle prime righe la odori, la respiri, la tocchi. E sei con lei in ufficio, per strada, in casa. Fastidiata con lei, incalzante come lei, protettiva per lei.

Il resto sta intorno. A lei, a chi legge, a cosa siamo diventati. All’apparenza senza possibilità di vasi comunicanti. Anche se è sufficiente un singolo ed inaspettato evento perché tutto possa essere posto in discussione. Attraverso spaesamento e gentilezza. Due parole oggi poco usate, forse perché agli antipodi delle certezze e delle prepotenze del mondo nuovo 2.0.

Vi auguro che Eleanor Oliphant, indubitabilmente mia amica, diventi anche amica vostra. Spostandovi irrimediabilmente.

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