A bocce ferme (leggi elezioni concluse) attendiamo l’insediamento del neoparlamento e la formazione del nuovo governo.
Sperando e vigilando affinché Costituzione e Diritti non vengano toccati.
Ps: per quanto in democrazia vinca il numero maggiore, restano sottesi alcuni interrogativi sulle motivazioni, istintive e/razionali, che hanno traghettato buona parte del popolo italiano verso quel tipo di destra.
Masha Amini, giovane iraniana, è morta in seguito ad un pestaggio da parte della “polizia morale” (sob!) per aver indossato in modo scorretto il velo. Il Medioevo 2.0.
E ora crescono le proteste in Iran: le donne si tagliano i capelli e bruciano gli hijab, filmando le loro azioni per i social. Per ricordare al mondo la loro condizione di apartheid di genere.
Che è quanto aveva raccontato già nel 2000 l’autrice iraniana Marianne Satrapi attraverso il suo fumetto “Persepolis”. Emozionando e risvegliando le coscienze. Pronte però a ricadere velocemente nel sonno della ragione.
Che tenerezza Lilibet… Insieme ai suoi sogni. Che erano semplici. Campagna, famiglia, cani.
Poi il destino decise altro per lei. Non più Lilibet, ma Queen Elizabeth II.
E allora quei sogni semplici si fecero piccoli perché la Nazione, la Corona, il Dovere diventarono la nuova realtà. Spesso scomoda. Da non rivelare. Mai. Never complain, never explain.
“In un mondo sostanzialmente alterato, un mondo in cui l’innalzamento del livello dei mari avrà inghiottito le Sundarban e reso inabitabili città come Kolkata, New York e Bangkok, i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità”.
Come spiega il filosofo Mauro Carbone quel giorno di settembre ci siamo trovati a morire insieme, cioè a condividere uno shock collettivo in quanto testimoni oculari della morte di altri. È questa esperienza che va indagata e ed è da questa esperienza che bisogna ripartire, perché in fondo il fatto di “essere morti insieme” tiene al suo interno la possibilità stessa di essere vivi insieme, cioè di aprire uno spazio di condivisione collettiva a partire dalla quale la collettività stessa si ridefinisce.
Ciò è particolarmente utile per le generazioni future. Di modo che diventi possibile una necessaria memoria transgenerazionale.
“Prometto di servire la Costituzione della nostra nazione finché sarò in vita nel Regno Unito e dovunque voi viviate. Sarò al vostro servizio con lealtà rispetto e amore“.
Carlo III, re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth – 10 settembre 2022
La firma del regista, Clint Eastwood, si sente, più potente che mai. Nell’attenzione per la fotografia e il montaggio, ma soprattutto per la scelta della storia, vera, e il taglio impresso, realistico. Magistrali poi le interpretazioni, da Paul Walter Hauser, un candido quasi sprovveduto Richard Jewell, a Kathy Bates, sua toccante “madre coraggio”.
Eppure sono le implicazioni etiche a guidarci nel racconto, tra informazione manipolata, macchina del fango, processo sommario. E un comportamento umano che può diventare miserrimo.
“Richard Jewell”, è un uomo semplice, a tratti ingenuo, dedito a svolgere il proprio dovere, quello di vigilanza della pubblica sicurezza. Durante un concerto per le Olimpiadi di Atlanta del 1996, Richard si accorge di uno zaino sospetto e grazie al suo intervento l’esito dell’esplosione è contenuto seppur tragico. Un eroe per tutti, da subito. Ma c’è bisogno di un colpevole, e invece di cercare sembra più facile fabbricare prove su Jewell. Che nella sua purezza viene quasi stritolato dal sistema, il “pesce vorace” verghiano. Sistema a cui si oppone un avvocato indipendente e coraggioso per tentare di salvare Richard Jewell dalle infamanti accuse, colpevole solo di aver fatto il proprio dovere, senza voltarsi dall’altra parte.
Risulta quasi incomprensibile per noi occidentali cogliere il motivo per cui Michail Gorbaciov, Premio Nobel per la Pace e artefice della fine della guerra fredda, sia stato poco apprezzato nella sua patria.
Già, incomprensibile per noi occidentali. Che lo abbiamo visto quale propugnatore dei processi di riforma legati alla perestrojka e alla glasnost, e protagonista nella catena di eventi che portarono alla dissoluzione dell’URSS e alla riunificazione della Germania. Cioè come colui che ha reso il mondo “oltre cortina” un mondo assimilabile al nostro, quello dell’Ovest, della democrazia, della libertà.
Per buona parte del popolo russo Michail Gorbaciov è stato invece colui che ha scardinato il sistema preesistente, l’unico da loro conosciuto, nonostante.
Ruolo scomodo il suo, che solo un leader carismatico e coraggioso come lui poteva assumere. Anche per questo va ricordato nella Grande Storia.