Si è spento Boris Pahor. Era vecchio si dirà. Già, ma i testimoni dell’Orrore dovrebbero essere esentati dall’umano destino mortale.
Scrittore triestino, di quella Trieste crogiolo di popoli e culture, testimone sempre vigile contro i crimini del nazifascismo ma pure contro la repressione comunista nei territori dell”ex Jugoslavia. E anche delle devianze del nostro tempo.
Boris Pahor è stato il padre di un memorabile testo come “Necropoli”, libro autobiografico intenso e sconvolgente, in cui racconta la sua esperienza del Campo di concentramento di Natzweiler-Struthof sui Vosgi, affinché la Memoria non si perda e la Storia non sia passata invano. Ma oltre alla fedele testimonianza delle atrocità dei lager nazisti, “Necropoli” è anche un emozionante documento sulla capacità di resistere e sulla generosità dell’individuo. Perché Pahor, pur avendo perso in quell’orrore molta parte di sé e dei suoi compagni, sottolinea comunque l’umanità mai del tutto sconfitta.
Perdiamo un custode rigoroso del “filo spinato” del Novecento, ma anche del nostro tempo.