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Archive for dicembre 2021

“La colomba porta vaccini” – Disegno dell’artista Harry Greb

L’anno comincia, a fronte di una seconda e pesante ondata pandemica, con la speranza di tutti nei vaccini.

Eppure il vaccino, la soluzione tanto agognata contro SarsCov2, in breve tempo diventa lo spartiacque tra la maggioranza che lo vede come difesa per sé e la comunità, e una minoranza che lo sente come sottrazione di libertà e sottomissione al potere. Senza pensare a quella parte, ancora estesa, di mondo che non può neppure scegliere se sottoporsi al vaccino.

Tra insicurezza, infodemia, precarietà, conosciamo poi nuove parole come green pass, divenuto l’oggetto (anch’esso amato-odiato) che precede i nostri passi. Passi che hanno inciampato in nuove varianti del virus, da Delta a Omicron, lettere greche portatrici di inediti scenari e ancora ansia, come ormai da due anni.

Nel frattempo il pianeta scopre la fragilità della democrazia con l’assalto al Congresso americano e il ritorno dei talebani a Kabul. E l’Italia ammutolisce di fronte alla tragedia della funivia del Mottarone, soprattutto per lo sprezzo inusitato delle regole.

Il nostro Dante ha però reso bella, ancora una volta, l’Italia nel mondo, in occasione del suo 700° anniversario. Insieme al premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, ai campioni olimpici di Tokyo, alla Nazionale di calcio, al gruppo musicale dei Maneskin. E tra le buone notizie la liberazione di Patrick Zaki.

Che fatica però lasciar andare chi ha reso bello il nostro tempo umano, da Franco Battiato a Raffaella Carrà, da Milva a Carla Fracci, da Jean Paul Belmondo a Lina Wertmüller. E anche chi ci ha mostrato la generosità di sé, come Gino Strada.

Anno complesso e complicato. Di luci e ombre. Alla ricerca di orizzonti.

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Un augurio affettuoso di Buon Natale a tutti i viaggiatori di “espress451”.

Che cuori, menti e passi di ciascuno possano infine tornare a ricevere Luce.

E anche qualche dolcezza…

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Disegno dell’illustratore vietnamita Bao Pham

Il nuovo singolo di Jovanotti, “La Primavera”, a detta dello stesso autore “esce quando inizia l’inverno, come un’affermazione, una dichiarazione di intenti. È la stagione in cui la natura fiorisce di nuovo, ma non una natura addomesticata. Questa primavera è selvatica, ha una tensione dentro, una forza sovrannaturale, qualcosa che per me resta un mistero“.

Classico synth pop anni ’80, è niente meno che un omaggio al grande Franco Battiato. “Ho pensato a Franco, con me lì c’era Pinaxa, il suo storico collaboratore, e gli ho detto provo a cantarla pensando di essere con Battiato. Insegnami, facciamogli un omaggio velato, un fiore per lui.” E “primavera” è stata:

Se potessi fare quello che fa aprile con i giorni freddi

Ti farei volare come un aeroplano sopra i continenti

Aprirei i polmoni a tutte le emozioni che mi fai provare

Siamo due canzoni dentro un DJ set sovrannaturale

La primavera“.

E allora “che sia primavera”, il miglior augurio che possiamo farci. L’un l’altro.

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Siamo stressati. È indubitabile. Propriamente nel senso di “stretti”, ma anche “angosciati”.

“Stretti” nelle sacrosante ma pesanti maglie sociali limitative dettate da una pandemia che si è ormai appropriata di una quota importante del nostro tempo, ormai quasi due anni. E “angosciati” per un “tempo orizzonte” di ristretta misura, con le carte di  navigazione buttate a mare, dati gli inevitabili e continui aggiustamenti di rotta.

Quindi la “paura” dell’ignoto dello scorso anno pre-vaccinale, che ci permetteva di guardare solo al passo/metro successivo, ha lasciato il posto ad un’ansia diffusa nei confronti di un Tempo Covid indubitabilmente più gestibile, ma anche più allungato. Comprendendo infine, obtorto collo, che la “convivenza” con il virus assume il suo significato letterale di “vivere con”. Da cui “ansia”, nel dover tenere tutto sotto controllo (che per l’uomo è già una bella fola in tempo di pace…), e “fatica”, sentendo un “peso” che pare non alleggerirsi mai.

Quasi nuovi Sisifo. Costretti, per la nostra tracotante sfrontatezza, a spostare di continuo massi, per poi ricominciare. Scaltri, ma infine derelitti.

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“Oltre le temporali lunazioni,

nell’infinito stretto dell’umano,

resti stella fissa del mio navigare.

Ancor lontana, pronta a consolare.

Così il circolare vuoto cosmico

si fa, per tua magia, di nuovo pieno.”

 

A mia mamma

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Aveva reso breve il suo nome aristocratico tanto lungo (Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich), per poi fare di quella lunghezza la cifra dei suoi titoli filmici. Diventati dei veri cult, da “Mimì metallurgico ferito nell’onore” a “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”, solo per ricordarne alcuni. Storie di profondità, ammantate di leggerezza. Già respirata sui set di Federico Fellini, di cui divenne aiuto regista ne “La dolce vita” e “8½”.

Prima regista candidata agli Oscar con “Pasqualino Settebellezze”, Lina Wertmüller ebbe poi il prestigioso riconoscimento “alla carriera” solo lo scorso anno. Sempre con il sorriso e gli immancabili occhiali bianchi. Che facevano intravedere uno sguardo attento sul mondo. Del resto di sé diceva: ”Sono curiosa, mai autobiografica, di me so tutto, sono gli altri che mi interessano come una entomologa”.

Grazie Lina.

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Patrick Zaki, appena scarcerato, abbraccia la sorella

Finalmente!

Finalmente, dopo la notizia di ieri della scarcerazione di Patrick Zaki, le prime immagini rassicuranti e felici dello studente egiziano dell’Università di Bologna in libertà dopo 22 mesi di detenzione preventiva con accuse ancora ad oggi poco chiare, di diffusione di notizie false dentro e fuori il paese”.

Ora Patrick è libero, seppur non assolto. Le accuse restano e Zaki dovrà presentarsi a un’udienza che si terrà il primo febbraio del nuovo anno.

Per ora la gioia di poter vedere Patrick Zaki non più detenuto e tra le braccia dei suoi cari. Con l’augurio affettuoso che possa presto riabbracciare anche la sua amata Bologna.

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Tra tutti i problemi urgenti da affrontare in questo momento, la Commissione Europea ha delineato le linee guida sul linguaggio.

In particolare hanno suscitato clamore le regole sul linguaggio delle festività, in merito alle quali l’esecutivo europeo invita in un documento interno ad “evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani, quindi anziché buon Natale, è meglio dire buone feste. Sii sensibile al fatto che le persone hanno diverse tradizioni religiose e calendari. Anche «buone vacanze» potrebbe andare bene“.

Non passano 24 ore e, come ormai ci stiamo abituando, assistiamo al dietrofront, alla marcia indietro, al “non volevamo”. La Commissione europea ha infatti annunciato il ritiro delle linee guida sul linguaggio, perché da più parti ci sono state critiche all’uso sconsigliato di espressioni anche consuete, come appunto “Buon Natale”. In una dichiarazione, la Commissaria all’Uguaglianza Helena Dalli definisce il documento che contiene tali linee guida “inadeguato allo scopo prefisso” e “non maturo“, nonché sotto gli standard richiesti dalla Commissione. “La mia iniziativa – spiega la commissaria – di elaborare linee guida come documento interno per la comunicazione da parte del personale della Commissione nelle sue funzioni aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei“.

Due brevi considerazioni.

La prima. In quanto cultrice di lingua e linguaggio penso che eliminare parole sia sempre un segno inquietante del mondo che ci attende. Perché il rischio è la semplificazione, nonché l’accorpamento di concetti diversi. E il geniale George Orwell ci aveva già messo sull’avviso in “1984” con la famigerata “neolingua”.

La seconda. In questo tempo pandemico la comunicazione è spesso contraddittoria. Come a voler tenere dentro tutto e tutti, senza fare scelte. Che comportano sempre fatica e tempo nel compierle e responsabilità nel mantenerle. Viceversa, meglio evitare. Soprattutto meglio evitare di comunicare in tutta fretta quanto non è stato accuratamente pensato. Perché tra una possibilità e la sua attuazione sta in mezzo il tempo di gestazione. Invece ultimamente la gestazione è sparita, per cui viene comunicata in tempo reale la “pensatina”, per poi fare retromarcia in un nanosecondo se il mondo comincia a borbottare. Gli esempi sono innumerevoli, ma sono sufficienti questo sul “linguaggio delle feste”, e quello scolastico per cui una classe sarebbe dovuta andare in Dad con tre studenti positivi l’altro ieri, solo con uno ieri, ma nuovamente con tre oggi.

Ma davvero navigare a vista, senza mappe e correggendo sempre la rotta, ci è così utile? O il rischio è girare in tondo, col temuto loop ad attenderci?

Comunque, “Buon Natale” o “Buone feste”. Fate voi.

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