Noi siamo Capaci. Perché tutti noi italiani portiamo inscritto nel profondo la tragedia di Capaci.
Chi c’era, ricordando esattamente dove fosse in quel momento e il buco nero che si aprì dentro, riverbero di quella orrifica detonazione che portò via, su un’autostrada siciliana in un pomeriggio di fine maggio di 29 anni fa, Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Chi non c’era, sentendone il racconto e coltivando una coscienza critica intorno alla mafia e a tutti quelli che l’hanno combattuta con determinazione e coraggio, sacrificando anche la propria vita.
Una domanda è però quella che ci accompagna nel tempo, nonostante molto sia stato smosso dal terreno mafioso. Siamo autenticamente “capaci”, come popolo, di far vivere tanta eredità, sottraendoci ogni giorno, anche nei comportamenti, alla cultura dell’illecito, del sopruso, del sotterfugio? Insomma siamo davvero “capaci” di scegliere la strada spesso più ardua e meno agevole?
Solo in questo modo potremo forse essere all’altezza di quell’immane sacrificio, umano e morale.
Un’esame di coscienza, di alta coscienza criticaci impone di tenere alta la guardia e di agire nella consapevolezza che dei grandi uomini come Giovanni Falcone hanno sacrificato la loro vita per tutti.
Gli dobbiamo,oltre che rispetto e memoria, l’obbligo etico del nostro comportamento a cominciare dalle piccole azioni quotidiane.
A 29 anni di distanza la ferita è aperta e sanguinante.