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Archive for marzo 2021

Il Tempo, seppur da tempo sembri fermo, si muove.

Le lancette ci appaiono infatti sospese in un oggi senza fine, senza mutamento alcuno.

Come se il meccanismo si fosse incantato, costringendoci in un loop sempre uguale a se stesso.

Ma forse lo spostamento forzato delle lancette in avanti spezzerà l’incantesimo, facendoci attraccare in un Tempo tutto nuovo. Ad orizzonte non più così sfocato.

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Domenico di Michelino, “La Commedia illumina Firenze” – 1456

Il 25 marzo è la giornata nazionale in memoria del poeta Dante Alighieri e quest’anno ricorrono inoltre i 700 anni dalla sua morte, avvenuta il 14 settembre 1321 a Ravenna.

La data del 25 marzo è stata scelta perché, secondo gli studiosi, sarebbe la data d’inizio del viaggio nell’aldilà della “Divina Commedia”, tra la notte di giovedì 24 e venerdì 25 marzo del 1300, anno in cui Dante Alighieri aveva 35 anni, “nel mezzo del cammino di nostra vita“.

Occasione non solo per Firenze e per l’Italia, ma per il mondo intero, di celebrare il Sommo Poeta, da considerarsi senza dubbio il padre della lingua italiana per la sua felice intuizione di innalzare il volgare a lingua letteraria, consegnando così uno strumento in grado di unificare un Paese. E donando così all’uomo di ogni tempo e spazio la possibilità di uscire a “riveder le stelle”. 

Ps: Auguri anche a Venezia, “pesce” cangiante e multiforme da 1600 anni.

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Primavera, svolgi il tuo compito…

Rendi ancora il mondo fiorito,

di passi curiosi e sguardi incantati.

Con l’animale uomo in perpetuo

spostamento gemmato del proprio sé.”

Ps: Auguri alle dieci “primavere” di questo blog. Grazie ai “viaggiatori” che continuano a salire su “espress451”, grazie alla felice intuizione iniziale di mia sorella, grazie al blog stesso, per me “palla di cera” su cui giocare a pongo col mondo.

 

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Stefano Loddo, “Barche alla deriva”

Infodemia è il termine usato dall’Oms per indicare quell’«abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno».

Di tale portata è ormai la mole incontenibile di informazioni, di segno contrario tra loro, e dette e smentite al batter di un twitt, che si fatica a fare ordine, a comprendere, a rielaborare. E quindi a decidere. Atto all’uomo necessario. Senza il quale ti limiti a resistere.

E così vaghiamo sempre più confusi, persi, disorientati. Pezzi di legno galleggianti su acque sconosciute, in assenza di orizzonte definito. Barche stanche alla deriva. In piena infodemia.

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È trascorso un anno, ma sembra un secolo, da quando tutto ebbe inizio.

È cambiata la nostra percezione del tempo, in continua tensione come un elastico, e quella dello spazio, in stretta torsione su inedite metrature.

I giorni si assomigliano l’uno all’altro, quando va bene. Le stanze diventano sempre più strette, quando va male.

Le notti si sono dilatate occupando spazi di luce. L’orizzonte, sempre meno visibile, si è ristretto. Fuori e dentro.

Mutate le relazioni. No abbracci, no baci. Sguardi fuggenti, parole nervose.

Schizoide il lavoro. In overdose bulimica tra pericolose consegne sul filo di un tempo immobile e compulsivo smart working di respiro orwelliano. Sempre che sia sopravvissuto, il lavoro.

La salute sospesa, tra paura e pericolo e azzardo e mancanza. Persino la lacrima, antico lavacro, rischia contagio. Quindi si asciuga. Involuzione meccanica. E triste.

La leggerezza un ricordo. La grazia un privilegio. La speranza una sfocata inquadratura.

Ma la primavera appare a portata di data. Seppur qualche nota risulti ancora stonata.

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Se il Festival di Sanremo è predittivo del tempo che vivremo, sarà rivoluzione. Forse addirittura una rigenerante rifondazione.

Come cantano col loro potente rock i Maneskin, vincitori inaspettati: “Scusami ma ci credo tanto /Che posso fare questo salto / Anche se la strada è in salita /Per questo ora mi sto allenando / E buonasera signore e signori“.

Aria nuova sul palco, a partire da una gestione meno ingessata e più improvvisata (seppur alquanto pensata, chapeau) in un’edizione pandemica difficile (speriamo unica), ai futuribili quadri viventi, ricchi di citazioni più che di provocazioni, di Achille Lauro.

E poi artisti poco conosciuti dal grande pubblico (esiste ancora?), ma ricchi di inedite sfumature vocali, capacità scritturali di valore e potenti presenze sceniche. Madame, 19 anni e un potenziale in divenire, Willie Peyote, Premio critica Mia Martini per un testo rap che è reportage di questi tempi (“Non si vendono più i dischi tanto c’è Spotify / Riapriamo gli stadi ma non teatri né live“), La rappresentante di Lista, voce – magnetismo – impegno.

Qualche serata di musica all’apparenza leggera, anzi leggerissima, come hanno cantato in modo geniale Colapesce e Di Martino, Premio Lucio Dalla della Sala Stampa: “Parole senza mistero / Allegre ma non troppo / Metti un po’ di musica leggera / Nel silenzio assordante / Per non cadere dentro al buco nero / Che sta ad un passo da noi, da noi / Più o meno”. 

Questo forse il senso di questo 71° Festival di Sanremo. Un nuovo inizio augurato da ciascuno a tutti noi.

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Il Festival di Sanremo 2021, quello in tempo Covid è iniziato. Nonostante tutto. Anche se non a prescindere da tutto. Che poi è sempre il Covid. Agente unico sulle nostre vite, respiro – riso – fiordaliso.

Si può comunque tentare, anche per esorcizzare. Ma nonostante buoni addendi (presentatori, musica, gag, orchestra), il risultato cambia. L’energia è spenta, la leggerezza solo tentata, le bollicine un ricordo.

Applausi finti, poltrone vuote, sguardi che non incrociano sguardi. La “di-grazia” pandemica a sottolinearci la mancanza di “grazia”. Quella che rende essenziali e graditi anche i gesti minimi.

Purtroppo questo Festival di Sanremo ci ricorda, senza orpelli di sorta, quanto non siamo più. E quanto ancora di nuovo non siamo. “Un sorriso dentro al pianto” o poco altro, come canta Ornella Vanoni su testo di Francesco Gabbani. Ospiti sul palco Ariston in una di queste sere, così poco (ahimè) festivaliere.

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