Scrive Thomas Geve in “Qui non ci sono bambini. Un’infanzia ad Auschwitz”: “Avevo tredici anni quando fui mandato ad Auschwitz con mia madre. Era la fine di giugno del 1943. Poiché dimostravo più della mia età, ebbi la fortuna di essere considerato abile al lavoro. I bambini sotto i quindici anni erano inviati direttamente alla camera a gas. A parte un altro ragazzo, uno zingaro di nome Jendros, allora ero il più giovane dei 18000 internati nel campo di Auschwitz I. Avevo il numero di matricola 127003. Mia madre fu mandata a Birkenau e lavorava alla fabbrica «Union». Purtroppo non sopravvisse. Dopo l’evacuazione di Auschwitz sono stato nel campo di Gross-Rosen, nel gennaio del 1945, e poi a Buchenwald, dove sono stato liberato l’11 aprile 1945. Prima di quel giorno non avevo mai conosciuto la libertà.
Ero gravemente debilitato e avevo perso le unghie dei piedi per l’attrito contro gli zoccoli di legno e per la denutrizione. Troppo malridotto per lasciare la mia baracca, il blocco 29, quello dei prigionieri antifascisti tedeschi, vi rimasi più di un mese dopo la liberazione del campo. Fu allora che eseguii una serie di settantanove disegni miniaturizzati, a colori, delle dimensioni di una cartolina, per illustrare i vari aspetti della vita in campo di concentramento. Li feci essenzialmente con l’intento di raccontare a mio padre la situazione cosi com’era realmente stata.”
Come disse Primo Levi, “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”
Un dovere conoscere.
Più che mai un dovere!
In questi giorni abbiamo guardato un filmato su Terensienstadt,la città che Hitler donó agli Ebrei, il più grande inganno della seconda guerra mondiale.
Non ci sono parole per descrivere le atrocità naziste.
Superano la possibilità dell’immaginazione umana.
Mi piace riportare quanto scrive Liliana Segre :
” Da anni ogni volta che mi sento chiedere : come è potuto accadere tutto questo? rispondo con una sola parola,sempre la stessa.
INDIFFERENZA.
Tutto comincia da quella parola.
Gli orrori di ieri, di oggi,di domani finiscono all’ombra di quella parola.
Per questo ho voluto che fosse scritta nell’atrio del Memoriale della Shoah di Milano, quel binario 21 della Stazione Centrale da cui partirono tanti treno diretti ai campi di sterminio, incluso il mio.
La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe,perché quando credi che qualcosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore”
(Liliana Segre,La memoria rende liberi)