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Archive for agosto 2020

Fazzoletto di Elena Braghieri per Massimo Alba

Il mare senza fine steso al vento.

Un incongruente abbigliamento,

solo all’apparenza senza senso.

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Chi non si salva da sé, non lo salva nessuno.” – Da “La bella estate” di Cesare Pavese

Il 27 agosto 1950, due mesi dopo aver vinto il “Premio Strega” per “La bella estate”, lo scrittore Cesare Pavese si toglieva la vita, a 42 anni, in una camera dell’albergo “Roma” di Piazza Carlo Felice a Torino. Sul tavolino della camera venne trovato un suo libro, “Dialoghi con Leucò”, sulla cui prima pagina aveva scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

E se ne andava così uno scrittore di razza, prolifico e tormentato. Che ha segnato un’epoca anche come sensibile intellettuale (tra Einaudi e antifascismo), acuto critico (con lui nasce il “mito dell’America”) e notevole traduttore (è sufficiente ricordare il “suo” “Moby Dick”).

Proprio ne “La bella estate” si legge: “Qualche volta pensava che quell’estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere”.

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È stato il primo James Bond, e anche il più amato. L’agente segreto 007 per antonomasia, Sean Connery, compie 90 anni.

Nella riservatezza, come sempre, tenendo fede al personaggio che lo ha reso famoso. Al punto da rischiare di vederlo tale in altre sue notevoli interpretazioni, dal frate Guglielmo di Baskerville ne “Il nome della rosa” al poliziotto Jimmy Malone in “The untouchables – Gli intoccabili” che gli valse l’Oscar. Quasi fosse l’agente Bond ad operare sotto copertura. Prestante, elegante, misterioso. In ogni occasione.

Del resto questo ruolo sembrava già scritto nel suo destino. A sedici anni infatti, quando lavorava in una drogheria di Edimburgo, portava spesso il latte al “Fettes College”, proprio la scuola frequentata da 007 nei romanzi di Ian Fleming.

Quindi auguri a Connery, Sean Connery.

Ps: Il tè poco inglese e molto “addizionato” fatto bere ad Alexei Navalny, oppositore politico di Vladimir Putin, ci riporta alle operazioni segrete di James Bond. Purtroppo però qui nulla è finzione narrativa.

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Disco di platino il brano “Chega” di Gaia, al secolo Gaia Gozzi, vincitrice dell’ultima edizione del talent “Amici”, madre brasiliana e padre italiano.

Un successo “Chega” nato da un felice connubio tra melodia, che ti entra in testa sottotraccia, e sonorità che rimandano ai ritmi lenti dell’estate ma anche alla saudade portoghese. Come racconta lei stessa: “La canzone l’ho scritta l’anno scorso, avendo un’idea precisa: rallentare una bossa nova, usare strumenti tradizionali come il berimbau o la cuíca, mescolandoli con suoni elettronici, accompagnati da una bella melodia“.

Il video poi è stato girato in pieno lockdown, rispettando le disposizioni ministeriali, con l’intento di tenere viva l’attenzione sulla musica. Un video che sulla gamma dei colori caldi ma sobri e con eleganti atmosfere minimal inserisce, quasi a sorpresa, immagini marine di famiglia in filmini super 8, sgranati e felici.

Stralci di un tempo passato. Ancora e sempre da srotolare. Quasi un amarcord. Che “Arriva”, come recita il titolo.

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Scuola, su cosa sorvolare?

Forse sui nuovi banchi con le rotelle. Anche se… Davvero gli adolescenti con quelle ruote staranno immobili? E si è già pensato a come smaltire una catasta imponente di vecchi banchi, che nel frattempo occupano spazio, di questi tempi tanto agognato?

Potremmo forse glissare su chi controlla che cosa. La temperatura corporea sembra destinata a diventare affare di famiglia. E la mascherina col naso allegramente esposto, vezzo ormai largamente diffuso, andrà sanzionata interrompendo in modo metrico ogni tentativo di lezione? E il ricambio d’aria sarà garantito nonostante le lamentele dei discenti che hanno sempre freddo anche quando l’aria interna all’aula è asfittica e maleodorante?

Ma sono quisquilie, si può procedere su cose più serie. Forse sul numero alto di persone che si incroceranno sul trasporto pubblico tra le 8 e le 9 del mattino, rendendo una barzelletta il distanziamento sociale? Del resto ci siamo già allenati sui treni regionali di pendolari e vacanzieri.

Arrivo a dire che ormai faccio finta di nulla persino quando il Gotha televisivo, giornalisti politici e soloni vari, parla degli otto milioni di studenti che devono essere in sicurezza, dimenticandosi di altri due milioni di persone, docenti e personale scolastico, che di quei ragazzi si occupa materialmente.

Su cosa però non posso fare finta che “tutto va ben, tutto va ben”, è quando risento dire per l’ennesima volta che “in Italia dal 5 marzo non si sono più fatte lezioni”. A parte che le lezioni si tengono e non si fanno, perché nessuna trasmissione giornalistica ha la decenza di sentire la voce di qualche docente? Ma voi che pontificate sul tutto e sul nulla, dove eravate in quelle mattine in cui, attraverso le lezioni, a distanza solo per i devices usati, con i miei studenti si cercava di leggere la fatica virale del mondo, analizzando tracce del dramma attraverso testi antichi e parole che fungessero da nuova mappa? E che dire delle notti, in cui le mail di questi adolescenti mi giungevano con quel carico pesante di ansia, paura, dolore? Dove eravate quando quegli stessi ragazzi si preparavano con scrupolo e profondità al loro esame di stato in epoca Covid19?

E anche se, come dice Pessoa, “il poeta è un gran fingitore“, quando vi sento parlare della scuola non riesco più a far finta che tutto vada bene.

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È una questione di parole. Ma anche di fatti.

Il globale lockdown ci ha imposto la cattività, sperimentando così la condizione di animali in gabbia.

Una volta tornati, almeno in parte, liberi ci stiamo scoprendo meno tolleranti e comprensivi, più diffidenti e suscettibili. Spirito di adattamento quasi azzerato, capacità relazionale non pervenuta. In una parola siamo diventati più cattivi. Già.

Ma i nomi sono conseguenti alle cose, come affermavano gli antichi.

Non è un caso che il “captivus” fosse originariamente il “prigioniero”. Che in condizioni di sottratta libertà diventa, suo malgrado, “cattivo”. Quando non lo si voglia considerare già a priori cattivo per il fatto stesso di essere prigioniero (possiamo dimenticarci dell’incredibile caso George Floyd?).

Ma la domanda è: chi rende il prigioniero tale?

Ps: purtroppo con la pandemia è anche aumentato il tasso di superbia scientifica nelle categorie più disparate: politici (proprio mai sforzarsi di pensare al bene comune?), tenori (e dedicarsi semplicemente al bel canto?), gente comune (che dire delle feste organizzate solo per dimostrare che il virus non c’è?), e persino alcuni virologi per i quali i contagiati non sono malati (sob!) se non all’1%. A quando l’amena negazione della terrestre rotazione?

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Helmut Newton per Sports Illustrated – Antibes 1991

Un Ferragosto, di necessità, in bianco e nero. Ovunque e comunque.

Anche se, almeno in fotografia, il bianco e nero scolpisce, raggiungendo l’essenza.

Come ha dimostrato Helmut Newton. E come lo si può apprezzare attraverso la retrospettiva firmata Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino, a lui dedicata. Fino al 20 settembre alla GAM di Torino.

Le copertine per Vogue, i ritratti di personaggi famosi, le fotografie di nudi. Tutte immagini iconiche quelle di Helmut Newton. Non solo lussuosamente eleganti ma narranti lo spirito dei tempi. Scatti seduttivi e sorprendenti. In una parola belli.

Con quel chiaroscuro che focalizza, scava, racconta. Come questo strano Ferragosto.

Helmut Newton, “Debra Winger” – Los Angeles 1983

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Nei giorni (che poi erano notti) più cupi e chiusi e stretti del lockdown, tra le immagini a cui riandavo per bere spazio e libertà e benessere c’era il mio acquario.

La boccia in cui sono solita immergermi nei giorni torridi del calendario, nel mare piccolo delle mie estati belle, quelle in cui il passo adolescenziale appena intravedeva sullo sfondo, sfocato, lo scollinamento adulto.

Aver ritrovato tutto in ordine, pesci e fondo e trasparenza, quell’acquario senza pareti, è stata gioia pura. Come l’abbraccio infine sciolto con l’amico di sempre. Senza alcuna restrizione né timore né remora. Solo gioia. Con le occhiate, grandi e piccole, a circondarmi a frotte. Equoreo benvenuto.

Ps: e poi la sorpresa. Ho seguito, nel mondo di sotto, un improvviso bagliore argenteo, ritrovandomi in un banco di grossi pesci, che pinneggiavano con forza seguendo una precisa direzione. Accogliendomi come parte del gruppo. Fintanto almeno che le branchie mie lo hanno permesso.

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Scelse il nome d’arte Valeri dal poeta Paul Valéry. Iniziando così quel sommo mascheramento fatto di arte, intelligenza, ironia. E surrealtà dosata con maestria.

Inventando personaggi indimenticabili, dalla Signorina Snob alla Sora Cecioni, calcando con estro e leggerezza e acume i palcoscenici di teatro, cinema, televisione.

Ma soprattutto Franca Valeri ha insegnato a noi donne l’autoironia, mostrandoci come non prenderci sul serio per farci prendere sul serio dal mondo. Oltre lo scontato ruolo canonico.

Anche per questo, Franca, grazie.

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Stamane, di prima mattina, già assetata di aria e di fresco, una coccinella ha invaso i miei spazi. Ritrovandosi su inedite, almeno per lei, piste da sci.

Si aggirava sul liscio manto bianco in discesa del mio lavandino. Alquanto spaesata. Pensando forse di essere salita troppo di quota. E io felice di vederla, quale segno buono del giorno entrante.

Demiurgo mio malgrado, l’ho accompagnata con gesti lenti fuori dalla montagna innevata di porcellana. Facendola scendere, attraverso un’improvvisata e umana funivia, a valle. Nella sua solita ed esterna quotidianità.

Ritrovandomi io con pensieri insoliti ed estranianti sul lanciatore cosmico di dadi.

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