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Archive for aprile 2020

Ho voglia, smisurata, di giardino. Cioè di aria, verde, acqua. Di sguardo allungato e rigenerato oltre il metro consigliato.

Cerco, come tutti, surrogati virtuali del parco in cui vorrei camminare a piedi nudi. Quei luoghi che cercavo con cura ed esploravo con voluttà nel tempo AnteCovid19.

Mi imbatto, per caso o per caos, in un luogo già bello e rievocativo nel nome, “Giardino di Ninfa”. Sembra irreale, come quasi tutto in questo Tempo. E invece è realtà concreta in quel di Cisterna di Latina. Un verde da fiaba, tra pozze lacustri e piante tropicali, un pezzo di Eden in terra. Tanto che il New York Times lo ha eletto il giardino più bello e romantico del mondo.

Così ho immaginato i miei passi in quel paesaggio incantato…

Ma i pensieri tornano presto su orizzonti più stretti, e così mi accontento, meditando, di un piccolo giardino zen. In cui le pietre simboleggiano le colline e la sabbia racconta il movimento dell’acqua.

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Nella sua “La Ballata del 25 aprile” il poeta Alfonso Gatto scriveva:

“Uscì la primavera dall’oscura/ notte d’aprile e rivedemmo il giorno./ In Piazza Tricolore, tutti intorno/ alla vecchia bandiera, i patrioti /— popolani ragazzi visi ignoti —/ uscivano dai libri delle scuole, dalle Cinque Giornate incontro al sole/ della mattina, incontro agli operai.

Era la libertà che non fu mai/ così vera, decisa. Dal suo lutto/ che in ogni casa ricordava il vuoto/ dei morti, degli assenti nell’ignoto/ viaggio verso i lager, con tutto/ il suo pianto segreto, il duro strazio/ di non sapere, confermava l’uomo/ umano nel suo vivere lo spazio,/ della misura che l’accoglie: voce/ di sé per tutti in ogni voce, duomo,/ casa, fabbrica, scuola, amore,/ foce del grande fiume verso la sorgente.

Era la libertà che non ha niente/ e dà nome alle cose, tocca i vivi,/ li scuote a dirli vivi più dei vivi./ Ci toccavamo increduli, era vera/ la terra, vero il cielo, e nella sera/ da braccia a braccia passavamo stretti/ nel ballo dietro i canti e gli organetti.

E per la libertà voglio che il mare/ non abbia fine e che l’aprile sia/ per tutti quella grande primavera/ che noi vedemmo uscendo sulla via/ con la falcata sempre più leggera,/ correndo senza peso alla parola/ dell’uomo solo che non è più sola:/ Italia, patria senza monumento,/ vita che vive, spazio, luce, vento.”

Quale lezione di Resistenza il 25 aprile…

Ieri, oggi, sempre.

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“Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.

È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.

Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.

Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.”

Gianni Rodari

Ps: a quarant’anni dalla sua morte (e a cento dalla sua nascita), Gianni Rodari resta attuale e augurale nella sua profondità leggera di spuma.

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E così questo virus subdolo e malefico è riuscito a sottrarci anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda e la sua capacità di regalarci sogni, attraverso storie di animali e di uomini. Ricordandoci sempre il valore della libertà, lui ingiustamente incarcerato sotto il regime di Pinochet e poi esule.

«Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali» miagolò Zorba. La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di perle le piume. L’umano e il gatto la videro sollevare la testa con gli occhi chiusi. «La pioggia. L’acqua. Mi piace!» stridette. «Ora volerai» miagolò Zorba. «Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono» stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra- «Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo» miagolò Zorba.

Ecco, Sepulveda era il gattone Zorba, che ha insegnato a ciascuno dei suoi lettori a volare/sognare come una gabbianella felice. “Fortunata” appunto, come la sua.

Il gatto Zorba e la piccola Fortunata in una scena di ” La gabbianella e il gatto ” , il film italiano d’animazione di Enzo D’Alo’, dal romanzo di Luis Sepulveda.

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Una mattina mi son svegliata, purtroppo senza “Bella ciao”, e ho trovato l’invasor. Ovvero un incubo da sveglia.

La parte lucida e razionale di me diceva alla totalità di me, “questa situazione forse è per sempre”. Con attrezzi personali e di mestiere ho tentato di tenere a bada quella parte.

Per fortuna casuale o per ventura celeste ci vengono in soccorso i sogni. E quanto mi ha visitato qualche notte dopo quel pensiero distopico è stato una zattera nel mare senza riferimenti che siamo diventati.

Tutto era blu, il colore della calma, del mare, del cielo. Dei luoghi senza confini. Appunto.

È talmente palese l’autocura dell’inconscio, che ogni tentativo di spiegazione psicoanalitica è superfluo.

Quindi pastelli blu per tutti, a colorare di infinito quei passi che prima o poi riprenderemo a fare.

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L’acqua dei canali di Venezia è irriconoscibile.

Senza il passo convulso e inquinante dell’uomo è tornata limpida, coi pesci a navigare tra le fondamenta.

E l’ambiente tutto a fare festa, lui sì, di respiro. Anzi, Pasquetta, seppur inaspettata.

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Con l’augurio che la Pasqua sia Buona con tutti noi…

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Michelangelo Buonarroti, “Crocifissione per Vittoria Colonna” – 1545

Elì, Elì, lemà sabactàni?“, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

Il grido dell’Uomo sulla croce.

Il grido degli uomini sulla Terra.

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Un luogo iconico per tutti Central Park di New York City. Anche per chi non ci è mai stato. Luogo filmico in cui ci si incontra, ci si innamora, si corre, si annusa la primavera e si gode l’inverno.

Ora un immenso ospedale da campo. Con le tende bianche a sfregiare il verde. Un polmone immenso e ferito. Segno d’altro.

Con lo spettro paventato dall’amministrazione americana che possa trasformarsi ancora, e verso il peggio. Diventando una sterminata collina di Spoon River.

Ps: esserci stata lo scorso anno in questa stagione mi provoca i brividi. E ripenso alle parole del poeta T.S.Eliot sulla “crudeltà” del mese di aprile…

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Raffaello Sanzio, “Autoritratto” – 1504/1506

Cinquecento anni fa, il 6 aprile 1520, giorno di Venerdì Santo, si spegneva a soli 37 anni il genio di Raffaello Sanzio.

Una celebrazione al “buio”, in tempi di Coronavirus che non permette fari sulla pittura dell’Urbinate. Così la mostra alle Scuderie del Quirinale, a lungo preparata e pubblicizzata, si è trasformata in un tour virtuale.

Amplificando la leggenda intorno a quella vita breve ma di produzione altissima. Con la Bellezza per musa, come sapeva Madre Natura stessa.

Così ricorda infatti l’epigrafe della sua tomba al Pantheon: “Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di essere superata da lui e quando morì temette di morire con lui.”

Raffaello Sanzio, “Madonna del cardellino” – 1506

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