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Archive for marzo 2020

Siamo tutti sulla stessa barca” ha detto ieri il Papa in una Piazza San Pietro dilavata, vuota e spettrale. Visitata solo dal suono drammaticamente intrecciato di sirene e campane.

E il Papa solo, nel mezzo di una piazza ancora più immensa, desolata, infinita. A raccontare l’incredulità e lo sconcerto dell’uomo. Anche di colui che è vicario di Cristo in terra.

Un “Urbi et Orbi”, con indulgenza plenaria, inedito e silenzioso. Pregno del dolore che l’umanità sta vivendo. Con la richiesta minima, quasi sussurrata, al Figlio di Dio di non lasciarci in balìa della tempesta. Antica supplica degli apostoli a Gesù, sulla barca in mezzo al fortunale.

Quella barca su cui oggi tutti noi ci troviamo. A remare, a domandare, a supplicare. Ancora una volta.

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Mentre noi umani fermiamo tutto o quasi per salvarci, la Natura sembra riprendere le proprie danze. In assenza del pesante passo dell’essere a due gambe.

Da qualche giorno nel porto di Cagliari sono tornati (ma chi li ricordava?) i delfini.

Saltano, giocano, si divertono. Ricordandoci un mondo e un modo di natura. Tempo lento, consumo necessario, delizie piccole.

Un salto tra le onde. Godendo del salto stesso. Semplicemente.

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Ogni termine per lei sembra minimo.

E allora siano le parole dette nel 1997 dal grande Faber, divenuto famoso grazie all’interpretazione da lei data de “La canzone di Marinella”, a renderle omaggio: “La voce di Mina è un miracolo. Credo che lei sia nata con la musica nel DNA, è come se avesse avuto una memoria prenatale della musica, e questo è il fenomeno tipico della genialità, sapere prima di conoscere. E te ne accorgi quando la senti cantare, perché tutte le sue evoluzioni vocali, le picchiate, i glissati, i grappoli di note in brevissimi intervalli di tempo, le svisature della melodia, sono assolutamente spontanee, come noi quando parliamo.”

Auguri Mina. E che la leggerezza delle tue “mille bolle blu” possano presto tornare a caratterizzare i passi di tutti noi.

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Disegno di Franco Rivolli

Una dottoressa che tiene in braccio il nostro Paese, in modo amorevole come una mamma con il suo bambino. Tenendo avvolta l’Italia, riscaldandola, nella bandiera tricolore.

Questo disegno di Franco Rivolli, potente immagine dei giorni del Coronavirus, racconta degli eroi di questo tempo virale. Il personale sanitario, che si spende sul fronte del virus senza pause e ritrosie. Con dedizione, professionalità e coraggio. Che abbiano risposto in ottomila alla “chiamata alle armi” per la richiesta di trecento medici volontari al nord nelle aree più colpite, ci rende orgogliosi di loro e grati del loro agire.

Angeli eroi di questa strenua battaglia.

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La Natura fa prepotentemente il suo lavoro. E in questo momento il suo lavoro è fiorire. Nonostante lo sfiorire del contorno…

L’augurio è, comunque, di buona primavera. O meglio, che la Primavera sia buona con tutti noi.

Ps: e nove primavere compie questo blog…

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Una delle foto più iconiche di questo tempo Covid19.

Papa Francesco in solitario cammino per Via del Corso. In pellegrinaggio verso la Chiesa di San Marcello per chiedere in preghiera a Dio la fine della pandemia. Con passo lento e pensiero raccolto. E solo.

Perché scorta, uomini e auto, sono su un fondale arretrato rispetto a quello del Papa. Con riguardo delle regole di distanza richieste dal momento emergenziale.

Ma solo, Francesco, lo è soprattutto di fronte alla difficile comprensione di un tale tragico evento.

Solo come ogni uomo. Sempre pellegrino su questa “palla di cera“.

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Questa è la crisi sanitaria che segna la nostra epoca”.

Così il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, riguardo la pandemia di Coronavirus che sta facendo, letteralmente, il giro del mondo.

Intanto a mezzogiorno di oggi chiudono le frontiere di ingresso dell’Unione europea e dello spazio Schengen, sospendendo così tutti i viaggi fra paesi extra europei e Unione europea. Impensabile fino ad un mese fa.

E a New York è stata chiusa “La Statua della Libertà”, simbolo per antonomasia dello spirito pioniere dell’Uomo. Che dovrà imparare ad accettare l’esilio. Dall’altro in genere, sia esso un essere o un luogo. E in parte anche da noi stessi. Almeno da quello che eravamo.

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In questi giorni difficili, crudeli e tristi hanno detto, in ordine sparso per gravità:

-Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea, per affrontare la crisi economica scatenata dal Coronavirus: “Noi non siamo qui per accorciare gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti e altri attori deputati a queste materie“. A seguire, tonfo delle Borse europee, in particolare quella di Milano.

-Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, a proposito di Covid19: “molte famiglie perderanno prematuramente dei loro cari”. A seguire, aggiunge che il virus è preferibile che si diffonda per aumentare le difese immunitarie dei cittadini.

-Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese, nel suo discorso alla nazione per l’emergenza Coronavirus: “Dovremo continuare a guadagnare tempo e proteggere i più vulnerabili per questo motivo da stasera chiedo a tutte le persone con più di 70 anni di restare a casa il più possibile limitando il più possibile i contatti“. A seguire, conferma le elezioni municipali di domenica.

-Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, considerando Covid19 un’influenza: “nulla viene chiuso, la vita e l’economia vanno avanti“. A seguire,  proclama lo stato di emergenza nazionale.

Quando si dice diplomazia e coerenza.

E fare silenzio?

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Gli evocativi versi di Ivano Fossati possono diventare, in questi giorni scuri, un suggestivo mantra, con cui cullare i nostri turbati pensieri. Di modo che “I treni a vapore” siano in grado di riportarci, ancora, “di stazione in stazione”…

“Io la sera mi addormento
E qualche volta sogno
Perché voglio sognare
E nel sogno stringo i pugni
Tengo fermo il respiro
E sto ad ascoltare
Qualche volta sono gli alberi d’Africa a chiamare
Altre volte sono vele spiegate a navigare
Sono uomini e donne, piroscafi e bandiere
Viaggiatori viaggianti da salvare
Tra le citta’ importanti io mi ricordo Milano
Livida e sprofondata per sua stessa mano
E se l’amore che avevo non sa piu’ il mio nome
E se l’amore che avevo non sa piu’ il mio nome
Come i treni a vapore
Come i treni a vapore
Di stazione in stazione
E di porta in porta
E di pioggia in pioggia
E di dolore in dolore
Il dolore passera’
Io la sera mi addormento
E qualche volta sogno
Perché so sognare
E mi sogno i tamburi
Della banda che passa
O che dovra’ passare
Mi sogno la pioggia fredda dritta sulle mani
I ragazzi della scuola che partono gia’ domani
E mi sogno i sognatori che aspettano la primavera
O qualche altra primavera da aspettare ancora
Tra un bicchiere di miele e un caffe’ come si deve
Questo inverno passera’
E se il mio amore di ieri non sa piu’ il mio nome
E se il mio amore di ieri non sa piu’ il mio nome
Come i treni a vapore
Come i treni a vapore
Di stazione in stazione
E di porta in porta
E di pioggia in pioggia
E di dolore in dolore
Il dolore passerà”

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È accaduto quanto da giorni si paventava ma, guardando gli incrementi di contagio, si sperava. L’Italia tutta è zona rossa.

Si sta a casa. Tutti. Si esce solo per andare al lavoro (se si può si usufruisce dello smart working) e per fare la spesa (senza fare inutili incette). Punto.

Si cerca, in corsa, di marginare l’esponenzialità del contagio, evitando aggregazioni e vicinanze. Per cercare di salvaguardare la salute di tutti. In primis dei più fragili.

Perché la situazione è seria. Anzi, emergenziale. Con l’aspetto sanitario al limite. Giorni difficili, pensieri cupi.

Con una notizia buona, il paziente 1 che respira ormai in modo autonomo.

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