Di Andrea Camilleri mi mancherà alquanto…
Mi mancherà, come di chiunque a cui siamo legati da affetto, la sua voce. Inconfondibile e roca. Col sorriso dentro.
Mi mancherà il racconto dolce e misurato, tra favola e mito, delle sue storie. Soprattutto di quelle minime, nate all’impronta, da aneddoti all’apparenza banali.
Mi mancherà il suo punto di vista, appassionato e civico, sui guai del mondo. Con la speranza, comunque, intorno all’animale uomo.
Mi mancherà il suo Tiresia, che giocava con l’eternità, per farci prendere confidenza con le cose ultime. E la paura ultima.
Mi mancherà il suo sguardo, anche quello ormai cieco. Perché sembrava vedere di più e oltre. Riuscendo a trasmetterlo a colori sgargianti.
Mi mancherà ancora un’avventura, arguta e pura, del suo Montalbano. Per la camurria di un’ammazzatina. Al profumo di arancini (e rottura di cabasisi). In quella lingua-dialetto che è diventata la parlata della sua Vigàta.
E allora lo penserò come il suo personaggio. A sorseggiare il caffè del mattino, di fronte al mare luccicante di Marinella a Punta Secca, intento a meditare su qualche nuovo caso intorno all’esistenza. Voltandosi poi a dire, come già ne “L’odore della notte”: “È un gioco tinto, quello dei ricordi, con cui finisci sempre per perdere“.