L’Aquila, 6 aprile 2009, ore 3.32.
La terra trema e l’esistenza si frantuma insieme agli edifici, lasciando sul campo 309 vite. Senza contare ottantamila persone senza casa e interi borghi abruzzesi quasi del tutto cancellati.
Oggi L’Aquila, a dieci anni di distanza, continua la sua ricostruzione. Lenta, faticosa, a tratti addirittura ferma, soprattutto quella pubblica. Quindi il paesaggio, seppure in parte ricucito, presenta ancora profonde lesioni, visivamente rappresentate da gru e ponteggi.
E poi c’è il paesaggio umano, con ferite indelebili, destini mutati e mutilati. Quella generazione di ragazze e ragazzi universitari che si è trovata divisa per sempre. Da un tramezzo, un’uscita serale, una semplice fatidica scelta.
Silente Spoon River aquilana.
“Ficcante” nella sua asciuttezza espressiva. Grazie.
Una città transennata da da dieci anni.
Certo la città ha ricostruito luoghi simbolici e forse riuscirà a ricostruire edifici pubblici.
Ma la devastazione del “paesaggio umano” rimane proprietà collettiva.
A presto.