In questi giorni gli abitanti, già ex, delle case site sotto i resti del ponte Morandi di Genova sono chiamati ad un’incombenza enorme e triste. Decidere quali oggetti della propria casa, quindi della propria vita, portare via. E farlo in due ore, stipando i ricordi in cinquanta scatoloni.
Ho quindi provato a fare questo esercizio mentale, un po’ buddista un po’ masochista, di pensare per un momento di essere in quella disperata e dolentissima situazione. Di scelta. Tra gli oggetti d’affetto e d’uso e d’abitudine. Tra le cose nostre, che ci rappresentano e ci confortano. Presente e passato. Necessità e consolazione.
E comprendi, se ancora ce ne fosse bisogno, che la vita è accumulo solo per un periodo. E poi, di necessità e per tutti, sottrazione. Di stati, luoghi, persone. E persino oggetti, che di tutto ciò sono anche simbolo. Di cui abbiamo infinito bisogno.
La nostra privata coperta di Linus. Che, seppur consunta, è per ciascuno affettuosa.
Cara Es,
provare a mettersi nei panni di quelle persone è un esercizio che dovremmo fare tutti.
Spesso,anzi sempre , diamo tutto per scontato, poi ” ex abrupto”l’evento sconvolgente ,lo tsunami che ci toglie la gravità e ci pone di fronte a scelta drastiche,posto che siamo sopravvissuti alle tragedie.
Scelta davvero drastica e difficile.