“Mio padre ci ha sempre insegnato che il nostro è un mestiere artigianale, come fare l’avvocato. Non pensiamo di costruire capolavori. I nostri film sono entrati nel dna degli italiani. Sono un rito liberatorio: come il rutto libero di Fantozzi davanti alla tv“.
Così diceva il regista Carlo Vanzina, delle pellicole sue e del fratello Enrico, aggiungendo: “Ci hanno confinati in serie B per anni, ne abbiamo sofferto, poi finalmente siamo stati sdoganati: abbiamo contribuito a fissare per sempre l’immagine di una certa società italiana“.
Cogliendo così, critico acuto ed elegante di se stesso, il senso di quella cinematografia, che sta già tutta, in modo nazionalpopolare, nei titoli stessi dei loro film, da “Sapore di mare” a “Eccezzziunale… veramente”. Entrati a tutti gli effetti nei modi di dire e di rappresentarci.