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Archive for giugno 2018

Ah, il primo bagno di stagione…

Mi sono sentita come una tartaruga marina che torna nel suo equoreo elemento dopo un periodo, sempre troppo lungo, di forzata cattività sulla terraferma.

Felice, semplicemente. In profondità di me.

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Cosa siamo diventati?

Nessun sorriso, abbracci alla deriva.

In corsa permanente, approccio diffidente.

Urlanti, volgari, aggressivi. Quasi sempre.

Pronti a spaccare tutto e a scappare via.

Senza alcuna motivazione. Né prospettica soluzione.

E se qualcuno chiede “Why?”, la risposta è “Why not?”.

L’inquietante semplificazione del mondo attuale.

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Il vice premier maggiore (tra due) e primo in comunicazione è davvero un abile giocatore, dal rilancio continuo sul tavolo da gioco governativo.

Zero soldi sui suoi rilanci, che non solo non ammettono pause di respiro pensato ma sono anche amplificati, quando non urlati, attraverso i social.

Migranti allo stop, censimento ai Rom, scorta Saviano mah, così vaccini non va.

Sarà ancora permesso prendere fiato? Rallentare per ragionare? O il gioco prevede di “sparare” senza mirare, in nome dell’illegittima difesa per spopolare?

Per favore, posso uscire per un po’ dal gioco? Sottraendomi all’incrocio di fuoco?

Ps: da quando le vaccinazioni sono questione del Ministero degli Interni? Forse che l’Interno debba occuparsi anche della sicurezza del nostro intimo corpo?

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Renato Guttuso, “L’abbraccio” – Mostra: “Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ’68” – Gam Torino, 23 febbraio/24giugno 2018

Alla mostra della Gam dedicata all’arte rivoluzionaria di Renato Guttuso si incontra la sua idea di uomo. Fatica, lavoro, asprezza, ma anche possibilità, incontro, abbraccio. Quello del dipinto manifesto della mostra stessa.

E forse in fondo, ovvero nel senso più profondo, questo è stato il movimento del ’68. Immaginare che “altro”, da quanto prima stato, fosse pensabile e realizzabile. Per l’umanità tutta.

Renato Guttuso, “Comizio di quartiere” – 1975

Così tra i quadri di un Maestro, non sufficientemente ricordato, dell’arte italiana trovi il lavoro schiavizzato dei ragazzini, i carusi, delle solfatare siciliane, ma anche i raduni politici tra e con il popolo. Quel popolo che ai “Funerali di Togliatti” si farà denso e rosso e misto, il volto moltiplicato di Lenin e quello addolorato del contadino. In un abbraccio muto, e forse consapevole, che l’addio era anche per il mondo delle idee.

Renato Guttuso, “I funerali di Togliatti” – 1972

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“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno.”

Ennio Flaiano

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Le tracce dei temi della Maturità 2018 portano impronte di un passato talmente attuale da esserne quasi turbati.

Sembrano infatti trascorsi pochi giri di lancette da quella necessità urlata, tanto più oggi, di uguaglianza tra tutti gli uomini, come dettava e ancora fortunatamente detta la nostra Costituzione. O la pagina tratta da “Il giardino dei Finzi-Contini” sull’espulsione dalla biblioteca del giovane protagonista perché ebreo.

Che dire poi degli ideali di cooperazione internazionale sostenuti da Alcide De Gasperi e Aldo Moro, che ad Helsinki nel 1975 dichiarava in modo illuminato la necessità di “una sempre più efficace tutela dei diritti umani, un arricchimento dei popoli in forza di una migliore conoscenza reciproca, di più liberi contatti, di una sempre più vasta circolazione delle idee e delle informazioni.

Come attuali sono i dibattiti bioetici su dove possa giungere la clonazione, tra ricerca e aberrazione. Concetto già novecentesco, come quelli di “masse e propaganda”. Che diventano però inaspettatamente, e drammaticamente, odierni con “la figura del nemico” che è, come sostiene Andrea Baravelli, “elemento indispensabile per il buon funzionamento dei sistema di propaganda.”

Ci può forse salvare la “creatività”, quale dote dell’immaginario, possibile solo “frequentando se stessi” come suggeriva Seneca, potendo così giungere al metodo ma anche all’esodo, usando le parole di Michel Serre, e perché, come dice Georges Didi-Huberman, “ci sono tempi per esplorare la strada maestra, e tempi per scrutare le vie laterali.”

Quelle vie di solitudine che ci aprono mondi. Davanti ad un “Tramonto sul mare” come ci suggeriscono le pennellate di Giovanni Fattori, trafitti con le smaltate parole di Salvatore Quasimodo “da un raggio di sole”, forse l’ultimo. Quello che ci connette, nei versi modernissimi e affilatissimi di Emily Dickinson, “a quel punto più profondo, / segretezza polare /che è un’anima al cospetto di se stessa – / infinità finita.”

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Le parole sono veicoli di comunicazione. Non sempre consapevole.

Il termine “crociera”, usato in modo allegro e decontestualizzato dal ministro degli Interni per descrivere il travagliato viaggio della nave Aquarius, porta inscritto il “crociare” marinaresco, l’incrocio appunto delle rotte. Ma ogni “incrocio” è dato dall’intersecarsi di linee, tali da formare una “croce”, il simbolo cristiano per antonomasia.

E così dalla “crociera” dei migranti si giunge in breve alla “crociata” dei politicanti.

Ps: curioso che nell’antichità la “crociata” avesse l’intento di forzare i blocchi dei porti orientali.

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Il 16 giugno 1988, a soli 32 anni, se ne andava Andrea Pazienza, fumettista e molto altro.

“Andrea Pazienza, trent’anni senza”. Come il titolo della mostra di Roma dedicata al Paz e ai suoi personaggi, tra cui il celebre Zanardi.

Geniale, prolifico, poliedrico Andrea Pazienza. E visionario. Anche nel descrivere il proprio segno di matita: “A seconda dell’esigenza del racconto, se si ha un racconto comico, un racconto drammatico, o anche una storia angosciosa, per ognuna delle mie storie utilizzo un segno diverso, contenuto in qualcosa di molto simile a una stanza, nella quale entro e nella quale già trovo gli ingredienti che mi servono per scrivere una storia tipo.”

Chissà cosa ci avrebbe regalato la matita del Paz di questi tempi. Tanto ricolmi di scempi.

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Serge Doceul, “La mer à la pointe du Kador (Morgat)”

Comunque la si guardi non c’è un vincitore.

Perché la vicenda “Aquarius” ha scoperchiato un vaso di Pandora. Che era malamente nascosto tra le sabbie ipocrite e mobili del mare nostrum.

Non vince l’Europa, che sta evidenziando profonde divisioni e sostanziali differenze. Politiche e umanistiche.

Non vince la diplomazia, ormai dimenticata a favore di battute ad effetto, accuse pretestuose ed epiteti offensivi.

Non vince la politica, non più praticata nella sua arte di visioni sul futuro perché costretta al tempo breve di un tweet.

Non vince il volontariato, tacciato di possibili utili affaristici intorno al soccorso.

E soprattutto non vince il migrante che, dopo aver attraversato a fatica schegge di mare, ritrova intorno a sé schegge di sale.

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Chef Bourdain mi ha introdotto al culto del viaggio culinario, quello che permette di camminare, in punta di gusto, nella cultura di un luogo, insieme alla sua storia e alle sue usanze.

Ricordo la prima volta che sfogliai, e poi divorai, il suo “Kitchen Confidential”. Confidenze, appunto, intorno alla sua idea di cucina: gli attrezzi indispensabili, il cibo da non ordinare mai al ristorante, la mise-en-place standard, le padelle sul fuoco, i segreti succulenti di New York e quelli di Tokyo. E la sua idea di vita: “‘Kitchen Confidential’ – diceva nel 2011 – è arrivato quando stavo ancora seduto vicino a una friggitrice e dopo undici anni sento ancora l’odore del piano cottura e della piastra, che ancora dà forma al modo in cui vivo la mia vita“.

Merci Chef.

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