Un luogo sacro, di preghiera, è tale ad ogni latitudine, e sacrilego è qualsiasi atto violento perpetrato in tale luogo. Tanto più se preventivamente pensato per fare più vittime possibile, ovvero una strage.
E i fedeli musulmani uccisi venerdì scorso nella moschea egiziana di Bir al-Abed nella regione del Nord Sinai non sono diversi dai cristiani, dai buddisti, dagli ebrei, ovvero da chi è dedito alla preghiera in un luogo a tale atto preposto.
Ma allora perché così scarsa copertura mediatica alla riflessione sulla notizia e così tiepida compartecipazione di noi tutti a quel popolo?
E dire che forse proprio qui si gioca la possibilità di svolta, ovvero non un distinguo barbaro e primitivo tra religioni diverse, ma un bando morale tout court sugli atti terroristici, ovunque avvengano e chiunque colpiscano.
Tanto più quando la vittima sacrificale è la via religiosa moderata, quella che cerca il dialogo con gli altri fratelli, come il sufismo, la via mistica dell’Islam. Quella che è stata colpita in tale vile attentato. Che però non fermerà le danze rotanti dei dervisci e il loro modo pacifico di avvicinarsi all’Alto. Rispettando l’altro.