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Archive for agosto 2017

Chi aveva allora, il 31 agosto 1997, più di quindici anni anni ricorda lo choc della notizia, tra incredulità e sconforto. La principessa del Galles, Lady Diana Spencer, era rimasta vittima a Parigi di un incidente automobilistico.

Scene collettive di cordoglio, il mondo intero a piangerla, la monarchia inglese “costretta” ad omaggiare la sua componente più ribelle. La Principessa del popolo, Regina di cuori, Rosa d’Inghilterra, A candle in the wind.

Sorriso timido, a volte malinconico, spesso radioso. Empatica, iconica, anticonformista, ma anche fragile, insicura, istintiva, Lady Diana ha reinventato la monarchia, rendendo obsoleto il freddo protocollo. L’incapacità a sottostare tacitamente alle regole di palazzo, la dedizione alle cause umanitarie, gli slanci affettuosi verso i figli, l’hanno posta a contatto di cuore col popolo. E proprio William ed Harry sono oggi la migliore testimonianza della sua essenza.

Come cantava Elton John, “Una candela nel vento, / che non si è mai spenta nel tramonto”. 

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Copertina e titolo mi sono apparsi immediatamente un abito su misura per me.

Il passo successivo è stato razionale. Seppur con una traccia subliminale che riguardava la biografia dell’autrice, Elisabeth Jane Howard, che per figlio acquisito ebbe lo scrittore Martin Amis.

La saga dei Cazalet, la famiglia protagonista di ben cinque romanzi a partire dagli anni Trenta, mi attirava soprattutto per le atmosfere anglosassoni alla “Downton Abbey”.

L’incanto però è stata la scrittura, ovvero la capacità di far respirare al lettore i protagonisti, e non solo quelli adulti. Una penna felice descrive con raffinata maestria la generazione dei piccoli di casa, facendoti ricordare in modo lucido e chiaro i pensieri e i tormenti di quando ci si affaccia alla vita: un gatto perduto, una varicella inopportuna, un’amicizia tradita.

E la guerra che incombe. Per tutti. Soprattutto per i grandi. Che cercano, tra l’acquisto di un vestito sospirato, i sotterfugi di una relazione clandestina, la potatura distensiva delle rose, di dimenticare la fragilità della vita.

Tale non solo in quegli anni lontani.

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Il segno, seppur liquido, che attendiamo: “La parola che squadri da ogni lato”.

Per farci riprender fiato.

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Terremoto di Ischia, 28 luglio 1883

È diventato un modo di dire, “è successa una casamìcciola”. Per raccontare una grande confusione, un disastro. Quello che fece più di duemila vittime in seguito al terremoto ischitano del 28 luglio 1883.

Fra i sopravvissuti, per ore sotto le macerie, il diciassettenne Benedetto Croce in vacanza sull’isola di Ischia, dove perse i genitori e la sorella.

“Rinvenni a notte alta – scrisse poi il filosofo nel Contributo alla critica di me stesso del 1915 – e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane.”

Quel male di vivere di cui siamo spossatamente pregni.

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Nel mare tormentato di questo tempo.

Ma con l’azzurro a ricordarci di non mollare i nostri ormeggi di libertà.

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Barcellona è coacervo di lingue, etnie, mondo. Pensi a quei nastri di strada che sono le Ramblas e vedi nazionalità diverse, unite da infradito colorate e dalla bellezza cangiante della capitale catalana.

Quella bellezza che ha incantato Woody Allen e che ha regalato a tutti noi “Vichy Cristina Barcelona”, in cui i colori primari della città fanno compagnia ai sentimenti dei protagonisti. Insieme alle tessere mirabolanti di Mirò e alle vertigini impossibili di Gaudì. Nonché alla sua luce calda, mediterranea, seducente.

Atmosfera densa di una malìa che attrae frotte di studenti del programma Erasmus. Come Xavier, il protagonista di quel film cult, “L’appartamento spagnolo”, che ha fatto da volano per un’intera generazione, Erasmus appunto.

Ma Barcellona è anche teatro di scrittura preziosa e al contempo misteriosa. La polverosa libreria de “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón che avvolge con inquietudine una Barcellona decadente, l’ufficio demodé sulle Ramblas dell’investigatore ex agente Cia Pepe Carvalho di Manuel Vasquez Montalban, i bar anonimi in cui sosta e riflette, insieme al suo fidato Fermín, l’ispettore Petra Delicado di Alicia Gimenez Bartlett.

Per una serie di circostanze fortuite, tra cui un viaggio già pronto e annullato in partenza, non sono mai stata a Barcellona. Ma in realtà, Salgari insegna, ci sono già stata. Per quelle pagine, per quelle pellicole. E, non da ultimi, anche per i racconti di mia mamma che lì trascorse un periodo felice e spensierato.

Ecco perché adesso, dopo l’orrenda ferita che ha subíto, piango per Barcellona. E per il cammino lento, di vacanza, che ciascuno di noi può /poteva fare su quel nastro di strada.

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Ancora una passeggiata famosa, in un pomeriggio d’estate.

Nizza torna prepotentemente in mente, con la sua promenade violata dagli uomini del terrore.

Questa volta è Barcellona e le sue note Ramblas, vicino a Plaza Catalunya e al colorato mercato della Boqueria.

Luoghi turistici, simboli che fanno eco. Ora ferite aperte. Con un pesante carico di vittime. Inconsapevoli, nel loro passeggiare, di essere attori in un teatro di guerra.

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Il gruppo musicale “Thegiornalisti” sa come costruire un vero tormentone estivo: mood musicale accattivante, traccia mnestica quasi immediata, parole che rimandano all’estate, onde-sole-vento-amore. E un titolo, “Riccione”, che profuma di “Sapore di mare” versione adriatica.

Ma il video è un autentico valore aggiunto: ambientato nel “Bagno 66” della località romagnola, tra cabine e ombrelloni, jukebox per sfondo, calcio balilla per gioco. E con corsa ginnica alla “Baywatch” sulla battigia.

Leggero, pop, azzeccato. “Completamente sold out”.

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Perché questa canzone piace tanto, diventando il tormentone musicale dell’estate 2017?

Il ritmo è accattivante, ma sono i giochi di parole il marchio vincente di fabbrica Gabbani.

L’enigmistica è già nel titolo col cambio di vocale, granite/granate, ovvero il nostro liquido tempo che inghiotte tutto in un informe blob.

E la citazione dantesca del “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, dopo aver detto che siamo “In fuga dall’Inferno”, è strepitosa.

Nel ritornello poi il gioco continua tra la stagione “estate” e l’interrogativo/imperativo “state”.

Questa è “Antologia della vacanza intelligente”, in cui “non partiamo mai, ci allontaniamo solo un po’ ” ,”non andiamo mai oltre le nostre suole”.

Il succo della vacanza nel pensiero “gabbano”? “Dietro le spalle, un morso di felicità / Davanti il tuo ritorno alla normalità”.

Allegro, sincero. Ma si respira aria di fine impero.

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Mi sono ritrovata a tu per tu, poca acqua tra noi, con un “Polmone di mare”, alias la medusa più grande del Mediterraneo.

Mi sono bloccata. Per il timore, ovvio. Le sue dimensioni notevoli e i suoi tentacoli occupavano ampia parte del mio specchio d’acqua.

Ma, ripensandoci, il mio rimanere per qualche secondo immobile davanti a lei fu per effetto di un incantamento. Quello mitologico che rendeva di pietra chi incrociava il severo sguardo della Gorgone.

In questo caso il suo liquido respiro.

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