Il calciatore continua ad essere mestiere ambitissimo da bambini e adolescenti. E invidiatissimo dagli stessi diventati maschi adulti.
Il motivo sembra il solito. La quantità spropositata di denaro guadagnato, e ciò che ne consegue in termini di onore e gloria. Da lì ad assurgere a modello da imitare il passo è breve.
Due esempi. Donnarumma, portiere del Milan confermato a suon di soldoni, e Bonucci, ex difensore juventino entrato nelle fila rossonere con una cifra a diversi zeri.
Il primo, stanco per la stagione di lavoro (neanche fosse un minatore del Sulcis) e stremato dal tira e molla sul suo contratto, decide di non presentarsi agli Esami di Stato, sostenuto in questo dal padre che gli consiglia invece di correre ad Ibiza per sciogliere lo stress accumulato.
Il secondo, sette anni nella Juventus, dimentica in tre giorni la fede bianconera perché, come dicevano i latini, pecunia non olet, il denaro non puzza. Insulti da parte degli ex tifosi, accoglienza trionfale da parte di quelli nuovi. Come se i cambi di casacca, anche politica, non avessero insegnato nulla.
La morale quale è? Che a tutto si può dare un calcio, dal pallone ai valori. Ma al denaro proprio no.