Nel tempo 2.0, quello social & terrorist, un evento pubblico porta ormai con sé, sottotraccia, un’ansia strisciante per qualcosa di pericoloso che può accadere. Così qualsiasi rumore o voce o spostamento, seppur minimo, deflagra su quella paura sottile trasformandola immediatamente in panico. L’effetto domino fa il resto. Fuggi fuggi scomposto, e l’uomo si fa mandria. Corre senza fermarsi, travolgendo tutto ciò che incontra. Compresi i suoi simili.
Così è avvenuto nel cuore di Torino, di fronte ai maxischermi posizionati in Piazza San Carlo (scelta discutibile) per la finale di Champions, Juventus versus Real Madrid. Oltre 1500 tra contusi e feriti, di cui alcuni gravi. Il pensiero va ad un’altra finale bianconera di Champions, allo stadio Heysel di Bruxelles e al suo tributo di sangue.
Ma nel tempo 2.0 social & terrorist le notizie globali si spostano velocemente e il Big Eye è sul London Bridge. Ancora un attacco terroristico nella capitale britannica. In un “normale” sabato sera, terrore tra strade e ristoranti, con accoltellamenti, urla, sbigottimento, vittime, feriti, polizia in assetto di guerra.
Così la nostra angoscia si rinforza. A tal punto da farci tracimare anche da soli. Ad ogni frullo d’ali.
Riguardo al terrore di Londra, cara Es, penso quanto sia ormai casuale la nostra possibilità di sopravvivere all’interno di un labirinto di violenza irrazionale.
Per il panico di Torino , cara Es, penso quanto fossero universali le descrizioni manzoniane delle folle, attualizzabili più che mai nella loro perenne cecità.
E penso anche che, se non ci fossero più attentati , rimarrebbe la paura quotidiana a marchiare le nostre vite precarie.
Siamo ormai vite sospese.