
Ironia dissacratoria come solo un aretino, con il senso immediato e sfrontato per la battuta. Capacità sublime di nobilitare l’arte del nulla attraverso l’uso sapiente del surreale. Visione acuta e predittiva dei mezzi di comunicazione unita ad un’intelligenza vivace e giocosa. Con la leggerezza a segnare la rotta di navigazione. Nell’etere e nell’esistenza.
Questo è stato Gianni Boncompagni. Ma il mio “Bonco” é stato soprattutto quello di me piccina, che capivo e non capivo, forse perché piccina, forse perché con poco senso. Seppure un senso alto, doppio, acuto come l’arco, senza freccia, oltre il reale. Quel senso che, ora lo so, piace a me fin da piccina, allora non sapendolo. Quello che mi faceva rientrare da scuola in fretta per ascoltare i tormentoni e i non-sense di “Alto gradimento”. Abbeverandomi ad altra scuola, che trovava il suo farsi, disfarsi e avvilupparsi nei senza senso pieni. Che, nel caso di Boncompagni, si palesavano anche attraverso testi musicali in cui le rime si accoppiavano danzando e giocando, come una “ballerina di Siviglia”, la sua appunto, “con lo scialle di ciniglia”, a cui si chiedeva di “non scoprire la caviglia”.
Bischero cazzeggio, nobile fraseggio. Leggerezza a tratti insostenibile. Ma necessaria, quanto e più dell’aria.
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