È stato un imperatore del teatro italiano, Giorgio Albertazzi. Per la sua capacità attorale, altissima. E per la profonda empatia coi personaggi interpretati.
“Le memorie di Adriano” della Yourcenar, da lui recitate da anni, raccontavano ormai quella parte di lui e di chi, al tramonto della vita, raccomanda alla sua anima un viaggio “leggero”. “Animula vagula blandula”.
Ho avuto la fortuna di assistere due anni fa alle sue “Lezioni americane” di Calvino. La sua voce incantava, il suo corpo parlava. E la scena si riempiva di luce, di magia. Era davvero il teatro nel suo farsi.
“Siamo gli innumerevoli raddoppia ogni casella di scacchiera lastrichiamo di corpi il vostro mare per camminarci sopra
Non potete contarci: se contati aumentiamo, figli dell’orizzonte che ci rovescia a sacco
Nessuna polizia può farci prepotenza più di quanto già siamo stati offesi faremo i servi, i figli che non fate le nostre vite i vostri libri di avventura
Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino l’odore che perdeste l’uguaglianza che avete sottomesso
Da qualunque distanza arriveremo a milioni di passi noi siamo i piedi e vi reggiamo il peso spaliamo neve, pettiniamo prati
Battiamo tappeti raccogliamo il pomodoro e l’insulto noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo
Noi siamo il rosso e il nero della terra un oltremare di sandali sfondati il polline e la polvere nel vento di stasera
Uno di noi, a nome di tutti, ha detto “non vi sbarazzerete di me va bene, muoio, ma in tre giorni risuscito e ritorno”
In braccio al Mediterraneo migratori di Africa e di oriente affondano nel cavo delle onde. il pacco dei semi portati da casa si sparge tra le alghe e i capelli La terraferma Italia è terrachiusa. Li lasciamo annegare per negare.”
Il leader storico dei radicali Marco Pannella, il leone delle battaglie civili, si è spento.
Le sue condizioni critiche si conoscevano, eppure. Eppure si stenta a pensarlo al passato, come succede per tutti coloro che ci fanno da “sponda” contro la fatica e l’ingiustizia del mondo. Sappiamo che ci sono, che combattono per tutti noi, anche per quelli più tiepidi nella lotta per i diritti civili.
Cosa sarebbe l’Italia senza i “segni/sogni” di Marco Pannella? Divorzio, aborto, causa garantista, situazione carceraria. Col corpo stesso a raccontare l’importanza della battaglia. Attraverso digiuni, imbavagliamenti, silenzi, parole, gesti, arresti. Sempre in prima linea, il rigore per bussola, la demagogia all’angolo.
Uomo simbolo della laicità, eppure pregno di un particolare senso religioso, quello sull’uomo, sul valore e sulla forza dell’umano. Con un credo profondo, quello della “compresenza del morto e del vivo che ha memoria di lui“.
Di Marco Pannella si avrà sicuramente memoria. Non celebrata, bensì grata.
Liceo. Classe prima. Visione collettiva del docu-film “I bambini sanno” di Walter Veltroni.
Ricezione empatica, profonda, a tratti inaspettata. Così i quindicenni “sdraiati” di Michele Serra, quasi magicamente, rialzano la testa, ridestati forse da quei bambini che da poco sono stati loro. Sollecitati nei precordi da risposte impreviste, sguardi lungimiranti, sorrisi trasparenti. Insomma, apertura al mondo. Talvolta ingenua, talvolta saggia, talvolta critica. Spesso inusitata.
Alla parola “Fine” non tutto si conclude. Come spesso accade fuori dallo schermo. Comincia la decantazione. Nel modo in cui accade con il vino. Che ha bisogno di riposare per dare i migliori risultati.
Ed è al tema proposto intorno a quel film che il “vino” comincia a mostrare corpo e consistenza, rivelando intensità e aroma.
“Leggendo il titolo di questo film, “I bambini sanno”, viene da domandarsi ma cosa sanno?” – Francesco
“Si dice che un bambino insegni tre cose ad un adulto: ad essere sempre occupato con qualcosa, ad essere sempre contento senza motivo, e a pretendere sempre con ogni sua forza ciò che desidera.” – Lorenzo
“E poi arriva l’adolescenza, un “minestrone” ricco di sostanze amare e dolci, quel “minestrone” che rimarrà nello stomaco per tutta la vita.” – Andrea
“Visioni” è la parola di quest’anno per il Salone del Libro di Torino. Quelle che ci stanno mancando. Prigionieri di pessimistica miopia.
Visioni sul domani, su mondi altri e possibili, su orizzonti futuribili.
Quel modo di vedere che i libri ci regalano da sempre. Raccontandoci di uomini che lottano contro bianche balene, che viaggiano attraverso città invisibili, che nascono burattini, che sognano, che amano. Insomma quelle storie di principi piccoli che ci fanno sentire grandi. Diventandolo persino un po’.
Sadiq Khan, neo sindaco di Londra nonché primo sindaco musulmano in una città europea, aveva e ha i suoi detrattori a dritta e a manca.
Gli islamofobici vedono nella sua ascesa gli inizi della sottomissione europea all’Islam, quella già paventata da Oriana Fallaci e descritta da Michel Houellebecq. Gli islamici oltranzisti gli contestano invece la sua dottrina tiepida, in nome di un laicismo moderato pur praticando la fede islamica.
Eppure Sadiq Khan ha vinto. Ovvero la maggioranza dei londinesi, un popolo misto da tempo esempio di multiculturalismo, ha scelto Khan per guidare la più grande metropoli europea.
Dando così, a tutti noi europei, un’indicazione di rotta per il futuro stesso del vecchio continente.
Concepita a suo tempo sulle acque del Mediterraneo, l’Europa sarà infine liquida ed integrata. Proprio come il mare. Senza muri, all inclusive.
Papa Francesco, ricevendo il Premio “Carlo Magno”, si è chiesto: “Che cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati?“.
Unfortunately, umanesimo è parola dimenticata, i diritti latitano, i poeti sono in esilio.
E ciò che conta sono interesse, bilancio, burocrazia. In un unico termine, business. Che, quasi sempre, è “guardare all’oggi per sé”.
Tenendo così sempre più lontane quelle parole che non sono solo umanistiche, ma prima di tutto umane: speranza, accoglienza, sogno.
Dopo aver subito sfregi e devastazioni Palmira è tornata ad essere accarezzata dalla musica.
L’antico teatro siriano ha infatti accolto l’orchestra filarmonica del Teatro Marinski di San Pietroburgo, riportando così armonia in un luogo tanto ferito.
Quell’armonia che è sovrapposizione di suoni, di accordi, di relazioni.