Il meccanismo narrativo è ordito alla perfezione. Ma in questo film scarso merito va alla fantasia.
E’ la Storia a consegnarci il soggetto. Guerra Fredda, 1957. Il mondo in bilico. Tutto si gioca sulle informazioni, nascoste e svelate. E’ il tempo delle spie. In cui il gioco quasi sempre si fa doppio e poco terso.
Eppure il senso del cammino umano è dato dall’esistere di alcuni sparuti uomini, che si mettono completamente in gioco, ma né moltiplicato né sporco. E lo fanno per difendere e sottolineare i diritti di qualsiasi individuo. A costo della loro stessa vita.
Uno di questi uomini, “tutto d’un pezzo” si dirà nel film, fu l’avvocato di Brooklyn James Donovan, protagonista dell’incalzante pellicola di Steven Spielberg, e reso magistralmente da uno strepitoso Tom Hanks.
Sullo schermo quasi tutto appare “freddo”, anche nei colori dominanti, quelli della gamma dei blu, a ricordarci una guerra, “fredda” appunto, in cui le azioni venivano ordinate ed eseguite in modo meccanico, dalla costruzione di un muro alla tortura innalzata a metodo contraddittorio.
Con la sensazione continua, anch’essa da “brivido”, che schegge impazzite di allora siano ancora presenti nell’ora.
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