
“The imitation game” è candidato a otto oscar, tra cui miglior film e miglior attore protagonista.
Si tratta, per realizzazione e recitazione, di una pellicola di alto livello. Più ancora per la storia che racconta. Che è vera, incredibile e segreta. O almeno tale è stata per decenni perché secretata dalla sicurezza britannica.
Scoprendo la vicenda del matematico britannico Alan Turing non si può che rendergli onore. Grazie a lui e alla sua “macchina”, un protocomputer, fu decriptato il codice nazista “Enigma”, e in virtù di quelle informazioni la seconda guerra mondiale fu fermata due anni prima salvando 14 milioni di persone. Lo stesso sbarco in Normandia fu un effetto di quei segreti messaggi decriptati.
Tutto bene? No, perché nel racconto si scopre anche che Turing si suicidò a soli 41 anni per l’accusa di omosessualità a cui era seguita la condanna ad una castrazione chimica obbligatoria. A cui il matematico, distruggendo lentamente le sue geniali facoltà intellettive, resse per un anno. “Scegliendo” poi di sottrarsi a quei medicinali che snaturavano, con gli effetti collaterali, la sua stessa persona. Solo nel 2013, anche a fronte di un appello da parte di importanti esponenti del mondo scientifico internazionale, la regina Elisabetta II ha elargito la grazia postuma per Alan Turing.
Colpiscono anche, nel film, i tormenti etici legati alla conoscenza di informazioni segrete che tali dovevano rimanere per non essere scoperti, rendendo inutile la conoscenza di tutto quanto si sapeva. Con il collaterale effetto, anche qui, di scegliere chi “salvare” e chi “sommergere”. Sostituendosi forse all’Onnipotente. E provocando, nello spettatore, molteplici e complesse domande. Scardinando anche intime fedi.
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