16 marzo 1978, ore 9.00. In Via Mario Fani a Roma un commando delle Brigate Rosse, dopo aver ucciso cinque guardie del corpo, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, sequestra il Presidente della Dc, Aldo Moro.
Da quel momento comincia l’Affaire Moro. Che non si conclude il 9 maggio con il drammatico ritrovamento di Via Caetani, ma dura ancora oggi come tanti altri episodi tragici ed oscuri della nostra storia repubblicana.
A tal proposito è di questi giorni l’ultima rivelazione di Salvatore Riina dal carcere intorno al caso Borsellino: sarebbe stato lo stesso giudice ad azionare il detonatore suonando il citofono dell’abitazione della madre. Agghiacciante. L’idea che possa essere accaduto. Ma anche la voglia di farlo ora sapere attraverso una chiacchierata con un altro detenuto. Quasi che certi occulti “poteri” non terminino mai, pur dietro le sbarre di un carcere. Anche se a regime duro.
Che si continui la propria attività anche dietro le sbarre, purtroppo, non è neanche una novità.
οὐδὲv χρῆμα μάτην γίνεται
ἀλλὰ πάντα ἐκ λόγου τε καὶ υπʹἀνάγκης
nessuna cosa per capriccio avviene
ma tutto a ragione e per necessità
Leucippo -Sulla mente V° sec a.C.
Nel caso Moro,c’erano tutte le ragioni e la necessità che avvenissero così.
Cara Es, ho visionato di recente il film tv interpretato da Montalbano “Il giudice meschino” , dove certe fisionomie mafiose sono state rese con un realismo raccapricciante . Di fronte alla freddezza , al ghigno ,alla disumanità e al menefreghismo dei volti dei burattinai che dettano legge persino dall’ isolamento, non si può che rimanere “agghiacciati”.
Come nel caso Borsellino.
Ciao, buona domenica