
Da “La cantatrice calva” di Eugene Ionesco, incipit:
“Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese. Porta occhiali inglesi; ha baffetti grigi, inglesi. Vicino a lui, in un’altra poltrona inglese, la signora Smith, inglese, rammenda un paio di calze inglesi. Lungo silenzio inglese. La pendola inglese batte diciassette colpi inglesi.
Signora Smith: Già le nove. Abbiamo mangiato minestra, pesce, patate al lardo, insalata inglese. I ragazzi hanno bevuto acqua inglese. Abbiamo mangiato bene, questa sera. La ragione è che abitiamo nei dintorni di Londra e che il nostro nome è Smith.
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Signora Smith: Le patate sono molto buone col lardo, l’olio dell’insalata non era rancido. L’olio del droghiere dell’angolo è di qualità assai migliore dell’olio del droghiere di fronte, ed è persino migliore dell’olio del droghiere ai piedi della salita. Non voglio dire però che l’olio di costoro sia cattivo.
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Signora Smith: Ad ogni modo l’olio del droghiere dell’angolo resta il migliore…
Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).”
Vent’anni fa scompariva il drammaturgo Eugene Ionesco, esponente del teatro dell’assurdo, che col nonsense ha messo in scena l’angoscia e l’irrazionalità della condizione umana.
E’ sufficiente rileggere l’incipit di uno dei suoi capolavori, “La cantatrice calva”, per sentire la forza e l’attualità di quel testo, in cui i personaggi dialogano attraverso luoghi comuni, con un linguaggio del tutto privo di valore comunicativo. Lo spunto per l’opera venne a Ionesco leggendo casualmente un manuale di conversazione inglese/francese per principianti. Trovò così irresistibili quei dialoghi banali che li usò per mostrare il vuoto spirituale dell’umanità che si esprime attraverso un linguaggio stereotipato.
Ancora più ora di allora. Preveggenza della poesia.
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