Poche sere fa ho assistito ad una lezione-spettacolo teatrale in cui Giorgio Albertazzi, dall’alto dei suoi novant’anni, ha tenuto la scena in modo non solo sublime ma anche “leggero”, di quella leggerezza su cui tramava il testo. E se la struttura era data dalle “Lezioni americane” di Calvino, la resa finale portava l’attorialità del Maestro Albertazzi.
Ha insistito sul concetto, a me particolarmente caro, della “leggerezza”, che non è “superficialità”, anzi, per essere tale la leggerezza deve passare attraverso la pensosità, come diceva Calvino. E’ così che la malinconia è null’altro che tristezza che si è fatta leggera, come lo humour è il comico che si è reso leggero. Lo stesso sorriso è null’altro che riso divenuto lieve.
Ma è la neve di due poeti a rendere concreta la “leggerezza”: quella di Cavalcanti, citata da Calvino, è aria e va lieve, quella di Dante, sostenuta da Albertazzi, si posa sulla pietra per dimostrarci che è lieve e pesa. Perché l’autentica leggerezza non è piuma, che a terra è destinata a cadere, ma uccello che libra nell’aria.
Ps: nel giorno post-decadenza ho preferito ricordare che un mondo altro e alto ancora esiste e, come ha detto il Maestro concludendo la sua performance, se più persone lo crediamo possibile, tale mondo può vincere quello violento, rumoroso e volgare che ammorba il nostro tempo.
Apprezzo molto questo spunto, cara Es, intelligente e leggero,che porta a riflettere.
Mi rendo conto che dobbiamo intraprendere un nuovo “modus vivendi”, seguendo la leggerezza , maestra di vita. Forse solo così riusciremo a sopportare le fatiche quotidiane, a vivere profondamente lievi ogni esperienza . Forse così troveremo una soluzione a questo “fango” che ci sta soffocando , quello della pesante crisi, in cui ci invischiamo ogni giorno di più a causa della nostra pesantezza, nebbia della mente e della creatività, strumento per risorgere.
Speriamo…