Ancora volti attoniti, come quelli di Lampedusa, come quelli delle tragedie di sempre.
Settanta anni fa quell’osceno sabato romano, vergogna di noi tutti, anche se non c’eravamo. Perché certe colpe dei padri ricadono eccome sui figli. E l’indifferenza in mezzo a cui i nazisti rastrellarono quel sabato più di mille persone appartenenti alla comunità ebraica per deportarle ad Auschwitz andrà prima o poi spiegata. O almeno indagata, compresa. Perché è l’indifferenza di sempre, è il “non mi riguarda”, è il tenere le mani in tasca pensando che così omicidio non sia.
E’ il silenzio, colpevole a tutti i livelli, in cui pensiamo di far tacere gli accadimenti “sgradevoli”. Come se quegli sguardi, da Roma 1943 a Lampedusa 2013, non appartenessero al nostro genere.
Secondo me non è solo indifferenza, non è solo il “non mi tocca”. Certi accadimenti affondano la loro radice nell’avallo, nel tacito consenso di chi pensa che, in fondo, non è nemmeno troppo ingiusto.
Se consideri quello che dicono oggi degli extracomunitari, capirai che sarebbero tanti quelli che, davanti a qualsiasi persecuzione disumana, qualsiasi sopruso e qualsiasi ingiustizia, anche la più crudele, ai loro danni, penserebbe che in fondo in fondo hanno le loro colpe.
Le atrocità non avranno mai fine finché non saremo capace di metterci nei panni degli altri, e valutare le sue sorti senza essere accecati dal pregiudizio, oltre che dalla paura.
ma il silenzio non cambia il passato, che continua ad essere nostro, l’unica cosa che possediamo veramente. Quindi chiudere gli occhi sui misfatti trascorsi significa non aver capito nulla della vita e del suo significato.Ma così non abbiamo futuro. Infatti….