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Archive for Maggio 2013

franca rame

Franca Rame si è spenta.

Per ricordarla, i suoi “ingredienti” principali: teatro nel Dna familiare, impegno civile nel Dna personale, un Nobel saltimbanco per marito, ironica intelligenza nei passi della vita.

Quella vita che lei vedeva, come scrisse Dario Fo ne “Il mondo secondo Fo“, quale “una meravigliosa occasione fugace da acciuffare al volo tuffandosi dentro in allegra libertà.”

 

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little tony

Da piccola andavo matta, come il suo cuore, per il “piccolo Tony”.

Sulle sue canzoni ballavo, cantavo, mi divertivo.

Un po’ meno piccola, mi soffermai sul suo sorriso, onesto, pulito, di tempi in tramonto.

Per questo, ascoltare “Riderà” sarà più difficile.

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italia

Adesso si scopre che non c’è più da “mangiare” per nessuno.

Quando ormai i pochi, ma “buoni”, hanno fatto gran banchetto, ai più, cioè a quasi tutti noi, non resta che sparecchiare.

Accontentandoci di qualche briciola rimasta.

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chiu-t-c-le-petit-chatelet

Pausare è rigenerante.

Specie se godendo, al tavolino di un caffè, di un sole tanto atteso.

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don puglisi

A volte certi eventi sembrano succedere in una concatenazione di eventi non troppo casuale.

Infatti abbiamo appena dato l’addio a Don Gallo, che sulla strada operava, e ricordato ieri le stragi di mafia, quando oggi sembra incastonarsi il ventesimo anniversario dell’uccisione di Don Pino Puglisi da parte della mafia per il suo costante impegno evangelico e sociale.

Don Puglisi si spendeva infatti per togliere dalla strada, e quindi dalla mafia, bambini e ragazzi del quartiere Brancaccio di Palermo. Per la mafia significava veder diminuire la nuova manovalanza. Da qui la sua condanna a morte, una vera esecuzione mafiosa davanti al portone di casa nel giorno del suo 56° compleanno. Mandanti i fratelli Graviano, capi-mafia della famiglia del boss Bagarella.

Oggi la sua beatificazione per martirio. Il cardinale Paolo Romeo, primate di Sicilia, ha ricordato che Don Puglisi è stato ucciso “perché era un prete che formava le coscienze, costruiva la comunità parrocchiale e aiutava le persone a uscire dai meccanismi che le rendono schiave. Questo evidentemente dava fastidio. La sua beatificazione ci aiuterà a prendere coscienza del vero cambiamento da attuare. La gente pensa infatti che devono cambiare gli altri. E invece don Puglisi ci dice che ognuno di noi ha qualcosa da cambiare nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio agire“.

Perché, come amava ripetere questo prete in prima linea,”Venti, sessanta, cento anni…la vita. A che serve se sbagliamo direzione?“.

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giornata legalità

Il 23 maggio è ormai una data simbolo nel segno della memoria storica del nostro Paese.  Per ricordare i tragici eventi del maggio-luglio 1992 che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alla moglie di Falcone Francesca Morvillo, e agli  agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina.

Il 23 maggio è una data per ribadire il “No alla mafia”, in particolare da parte degli studenti che ancora una volta, imbarcati da Napoli e Civitavecchia sulle due “Navi della Legalità”, sbarcheranno a Palermo per raggiungere diversi luoghi simbolo della città, tra cui l’Aula Bunker del carcere Ucciardone, via D’Amelio, via Notarbartolo in cui si erge l’Albero Falcone.

Un impegno ad intraprendere nuove rotte. In nome della legalità.

Nave-legalit

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don Gallo

Da poco ho parlato di lui in classe. Associandolo a Fabrizio De André, di cui era amico, e Umberto Saba, il poeta triestino che degli ultimi amava scrivere.

Come Don Andrea Gallo, che era diventato il “prete degli ultimi”, il “sacerdote di frontiera”, il “prete di strada”, per le sue battaglie a favore degli emarginati.

Mi piace ricordarlo con la poesia di Saba “Città vecchia”, ovvero Trieste. Ma potrebbe essere la Genova di Don Gallo, la Genova dei vicoli degli ultimi, quella parte di città a cui lui è sempre stato particolarmente legato. Insegnandoci a guardare i “diversi” in modo diverso.

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
 
Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
 
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
 
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

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ravello

22 maggio 1813: nasceva il compositore tedesco Richard Wagner, che amava molto l’Italia, patria della sua seconda moglie, Cosima Liszt, figlia del grande pianista, nata a Como.

Il suo primo viaggio nel Bel Paese avviene nel 1852 e lo conduce sulle rive del Lago Maggiore dove termina il testo dell’ Anello del Nibelungo. A La Spezia invece ebbe in sogno l’ispirazione per il prologo della Tetralogia, col  preludio musicale dell’ Oro del Reno.

Ma è la città lagunare ad essere indissolubilmente legata a Wagner e alla stesura del Tristano, avvenuta tra l’Albergo Danieli e Palazzo Giustiniani: “In una notte d’insonnia, affacciatomi al balcone verso le tre del mattino, sentii per la prima volta il canto antico dei gondolieri. Mi pareva che il richiamo, rauco e lamentoso, venisse da Rialto. Una melopea analoga rispose da più lontano ancora, e quel dialogo straordinario continuò così a intervalli spesso assai lunghi. Queste impressioni restarono in me fino al completamento del secondo atto del Tristano, e forse mi suggerirono i suoni strascicati del corno inglese al principio del terz’atto.” A Venezia il musicista era dovuto riparare in seguito alle scenate di gelosia della sua prima moglie per la passione travolgente che ebbe per una poetessa.  E a Venezia rimase in assoluto isolamento per sette mesi, “lontano dalla polvere delle strade e dallo spettacolo dei cavalli maltrattati”.

E’ poi la precaria salute a ricondurlo nel 1881 in Italia, questa volta nel sud, a Palermo e sulla costiera amalfitana. Proprio a Ravello, nel giardino di Villa Rufolo, ebbe l’ispirazione per il Parsifal, il suo ultimo capolavoro, la cui scena l’aveva immaginata nel Duomo di Siena.

Ma è la laguna ad attirarlo ancora, tanto da trasferirsi lì con la famiglia nel 1882. E a Venezia Wagner morirà l’anno seguente per un attacco cardiaco mentre era intento a scrivere un saggio, Sull’elemento femminile nella specie umana.

Venezia

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gadda1

Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana.

“Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” di Carlo Emilio Gadda (14 novembre 1893 – 21 maggio 1973)

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tragedia genova porto

Ora che anche l’ultima vittima è stata recuperata è forse necessario affrontare il tema della casualità, e Genova non è che l’ennesimo caso italiano a riguardo.

Il tema delle casualità concomitanti versus causalità sommate. Perché se ci accontentiamo ogni volta di dire che è il caso, l’evento fortuito a determinare quanto accade, rischiamo di accettare qualsiasi azione umana stia alle sue spalle.

E’ un caso che la torretta di controllo sia stata costruita sul bordo del molo, o qualcuno ha scientemente approvato tale progetto?

E’ un caso che un mastodontico gigante del mare faccia manovra in una stretta lingua di acqua portuale, o qualcuno ha scientemente approvato tale piano?

Forse sarebbe il “caso” di non rassegnarci solo a piangere le vittime. Forse rendere loro omaggio autentico è non arrenderci alle telecamere e ai microfoni che si spengono dopo aver sorvolato con insistenza sul dolore. Forse diventa dovere civico di tutti chiedere che finalmente chi ha responsabilità ne prenda seriamente atto. Non dopo che le tragedie sono compiute, ma al momento di una scelta, di una firma, di una certificazione. A quel punto, e solo allora, potremo dire: “è stato un casuale incidente“.

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