Mare di settembre. Spiaggia semivuota. Lunghe prospettive. Di sguardo e di testa. Silenzi sciabordati dalle onde.
E poi una voce di bambina: “Mamma, ma il mare si può trasportare?”. Mi volto ed è il mio interno a fotografarla. Una manciata di anni, otto o dieci, e un atteggiamento riflessivo, di chi di fronte ad un problema si ferma a pensare e chiede illuminazione a qualcuno di cui si fida. Guarda il mare e lo vorrebbe portar via, per quando sarà lontana. E quell’azzurro sarà dislavato da nebbia, tempo e fatica.
Come se fosse pensabile una conserva immensa di mare per i giorni d’inverno.
Ed è così, con quella domanda carpita, che io scommetto ancora sul tappeto della fiducia nel futuro, nel sogno, nella possibilità.
Anche su qualcosa che, ad oggi, ci appare proprio impossibile.