Reduci da una settimana in cui il Paese Italia ha avuto tra i suoi tags la parola “Sanremo”, indicando con essa non tanto l’amena località di mare quanto la manifestazione canora, viene da chiedersi: ma “Sanremo” è ancora “Sanremo”?
E’ vero che gli ascolti tengono, ma solo con l’effetto Celentano che sfalsa così tutte le possibili comparazioni. Allora cos’è che convince sempre meno, e non solo le ultime tecnologiche generazioni ma anche quelle precedenti che a “Sanremo” erano alquanto fidelizzate? Che sia la “crisi di mezza età”, visto che il “Festival di Sanremo” di “primavere” ne ha viste sessantadue? O forse il “fattore talent” che ormai sta fagocitando qualsiasi nuovo ingresso sulla scena musicale italica?
In effetti cosa ricordiamo di questa edizione se non la “predica” di Adriano con conseguente possibile “commissariamento” della manifestazione, il dubbio sull’intimo esistente o meno della Belen Rodriguez, gli interventi surreali con occhio sgranato del talentuoso Rocco Papaleo, le canzoni difficili da canticchiare sotto la doccia, un Morandi che si adegua ad un linguaggio con un intercalare più moderno (leggi più volgare), il passaggio di alcune leggende della musica mondiale, una per tutte la mitica Patty Smith.
Forse quello che appare sempre più stridente in questa debordante kermesse è da una parte il tentativo di far persistere una gara canora istituzionale con modalità fuori tempo da “messa cantata” con l’artista di turno che in posa “Prima Comunione” si esibisce con canzoni studiate ad hoc per “Sanremo”, quindi per definizione destinate ormai a vita effimera, e dall’altra il tentativo di rompere definitivamente la “quarta parete” che divide lo spettatore dal palcoscenico per creare un gigantesco happening colto nel suo divenire, anche se in piena ed evidente e voluta finzione.
Insomma una “contaminazione” in cui “Il blu dipinto di blu” rischia di diventare un logo di manifestazione.