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Archive for febbraio 2012

BISESTO: Dal latino “bis sexto”, “due volte sesto”. Indica il giorno che ogni quattro anni si aggiunge al mese di febbraio per “aggiustare” il corso del sole. Veniva detto dai latini “bisesto” perché si usò intervallarlo fra il 24 e il 25 febbraio, valutandolo come una continuazione, o meglio una duplicazione, di questo giorno, il 25, che in latino si dice “sexto Kalendas Martias”, ovvero “il sesto avanti il primo giorno di marzo”.

E’ diceria che l’anno bisestile non sia particolarmente fortunato, ma tale credenza nasce quale eredità del mondo latino, logico e razionalista, che considerava negativo l’irregolare. Infatti nei paesi che meno risentono della civilizzazione romana, come  in quelli anglosassoni, l’anno bisestile è considerato propizio per certe attività, e soprattutto il 29 febbraio lo si raccomanda per intraprendere imprese che si dice avranno certamente successo.

Resta comunque un’anomalia quel giorno in più, che però sembra non esistere se non per un’unica apparizione quadriennale. Quasi una frattura, uno squarcio, un passaggio in quella maglia spazio-temporale in cui ci pensiamo protetti. Ma qualche “spiffero” passa…

Ps: in questo giorno “fuori dall’ordinario” nasceva 220 anni fa il grande compositore romantico Gioacchino Rossini, “Titano di potenza e di audacia“, come amava definirlo Giuseppe Mazzini. Un augurio di fortuna maior per chi ha il compleanno in questo “particolare” tempo.


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Nell’era del digitale e della tecnologia sofisticata vince ben cinque statuette degli Academy Awards The Artist, film francese di Michel Hazanavicius, un film in bianco e nero e su schermo ridotto, in un revival dell’era del muto. Nei panni del protagonista, divo del cinema muto, l’attore Jean Dujardin che per la sua interpretazione ha sbaragliato le altre candidature.

A Hugo Cabret di Martin Scorsese, Kolossal 3D rivolto al passato americano e diretto concorrente di The Artist, vanno le statuette “tecniche”, tra cui quella alla scenografia vinta dagli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, che all’Italia hanno dedicato il loro Oscar.

Una Meryl Streep da standing ovation quella che ha ricevuto il meritatissimo Oscar quale miglior attrice protagonista per la sua The iron lady, che la vede nei panni di una credibilissima e sfaccettata Margaret Thatcher. E’ apparso invece consolatorio il riconoscimento a Woody Allen e al suo Midnight in Paris per la miglior sceneggiatura originale.

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M.C.Escher, "Corteccia" - 1955

Un nome che da solo evoca scenari luttuosi, ora comprovati da una sentenza del Tribunale di Torino, sentenza definita “storica” per la condanna inflitta ai vertici aziendali per disastro aggravato, divenendo così precedente importante per tutte quelle aree del mondo in cui vengono ancora usate le fibre di amianto senza tenere conto dei danni gravissimi prodotti sulla salute.

Rimane il dramma sociale, per i siti ancora da bonificare e per quell’ombra che continua a sostare su alcune zone geografiche quali quella di Casale Monferrato per la contaminazione dell’aria stessa, visto che lo stabilimento disperdeva con dei potenti aeratori la polvere di amianto su tutta la città, evocando apocalittici scenari di cui il “secolo breve” ci aveva già dato orrori indescrivibili e spesso taciuti.

Con la sentenza di questi giorni si riconosce però la responsabilità, anche sui lavoratori, di chi gestisce un’impresa, ricordandoci così il caso ThyssenKrupp, in cui sette operai dello stabilimento torinese morirono bruciati per la mancanza di prevenzione.

E viene da pensare a tutti coloro che, magari anche senza lavorare in quell’azienda, ma per la sola “colpa” di respirare aria “sbagliata”, sono ora parte di una Spoon River alessandrina. Raccontandoci, sguardo malinconico, la loro storia. A monito di chi verrà.

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“Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo dire i giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. È privilegio della prima gioventù vivere in anticipo sui propri giorni, nella bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezione.
Uno chiude dietro di sé il cancelletto della fanciullezza – ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre rilucono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché sia una terra tutta da scoprire. Si sa bene che l’umanità intera l’ha percorsa in folla. È la seduzione dell’esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi.”

“La linea d’ombra” di Joseph Conrad


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Stiamo riuscendo a togliere l’Italia dalla zona d’ombra. Da origine del problema possiamo diventare la soluzione.

Mario Monti, Presidente del Consiglio.

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Il 24 febbraio 1977 iniziarono ufficialmente le trasmissioni televisive a colori in Italia. Dieci anni più tardi rispetto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti, e per ragioni politiche. Si temevano effetti devastanti sulla precaria situazione economica italiana con lo scatenarsi della corsa all’acquisto del nuovo elettrodomestico da parte delle famiglie italiane.

Già si intuiva il potere di quella magica scatola. Anche nei confronti della democrazia.

Perché, come sosteneva il filosofo Karl Popper,” i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi.

La sensazione è che siamo già nel “troppo tardi”.

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Per cominciare, che sia bue grasso di razza fassona piemontese.

E ora la regola del sette, magico numero.

Sette devono essere i tagli canonici tirati su col forchettone dal brodo bollente: tenerone, muscolo, scaramella, biancostato, cappello da prete, stinco, punta di petto.

Sette i cosiddetti ammennicoli: rollata, coda, zampino, lingua, testina, gallina, cotechino.

Sette infine le salse: due tipi di bagnetto verde (rustico e ricco), bagnetto rosso, salsa d’àvie (miele e nocciole tritate), cugnà (mostarda d’uva), cren (rafano), senape gialla.

A questo punto siete pronti per entrare nella Confraternita del Bollito Misto.

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Mi sono chiesta perché mi abbia colpito tanto la foto vincitrice del World Press Photo 2012, autore il reporter spagnolo Samuel Aranda del New York Times. L’istantanea riprende una donna araba completamente avvolta da un velo nero, che tiene tra le braccia un uomo ferito col torso nudo. Uno scatto quasi “rubato” lo scorso ottobre in Yemen durante le proteste contro il presidente Ali Abdullah Saleh, in una moschea divenuta ospedale da campo nella capitale Sanaa.

Il presidente della giuria del prestigioso premio, Aidan Sullivan, ha dichiarato: “La foto ritrae un momento straziante e pieno di compassione, le conseguenze umane di un evento enorme, un evento che e’ ancora in corso“. Quindi il valore giornalistico è indubbio, ma anche quello artistico, al punto che l’immagine del fotoreporter Aranda è stata associata alla Pietà di Michelangelo, in cui la Maria Vergine tiene in braccio il Cristo morto.

Però il mio “incantamento” ho capito esser dovuto a quegli opposti che si toccano, nei colori, bianco/nero, e negli strati, nudo/coperto. Raccontandomi di un mondo ancora possibile, che fa dei suoi alti e bassi la sua forza e il suo futuro.

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Richard Sargent, "Big shadow little boy" - 1960

Curiosa la giornata odierna: data palindroma, che si può leggere “percorsa nel verso contrario”.

Ecco la parola chiave, “contrario”. Che è la cifra che struttura il Carnevale. Tutto sottosopra, sovvertito, mascherato.

Con leggerezza, ironia, gioco. Bello, perché dura poco.

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ARLECCHINO: dal tedesco Hölle König, “re dell’inferno”, traslato in Helleking, poi divenuto Harlequin. La derivazione infernale del nome rimanda alla ritualità agricola, visto che Arlecchino è anche il nome di un demone sotterraneo, quello spirito della natura mascherato che, ereditato nel Cinquecento dalla Commedia dell’arte italiana, ne conserverà solo il travestimento.

Maschera bergamasca, Arlecchino è diretto discendente dello “Zanni” (Gianni) veneto-lombardo, uno tra i personaggi più antichi della Commedia dell’arte, rappresentante il servo astuto ma anche pasticcione di derivazione plautina. La sua natura di servitore e confidente infido e maldestro viene raccontata al meglio nella commedia di Goldoni “Il servitore di due padroni”, in cui non perde occasione di costruire raggiri che vengono inevitabilmente scoperti e puniti, suscitando l’ilarità generale. Del resto Arlecchino è quello che, di fronte alla possibilità di lavorare per due padroni, dice: “Oh bella! Ghe n’è tanti che cerca un padron, e mi ghe n’ho trovà do. Come diavol oia da far? Tutti do no li posso servir. No? E perché no?“.

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