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Archive for dicembre 2011

A tutti i viaggiatori di “espress451” auguri di Buone Feste!

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Giorgione, "Natività Allendale" (1505)

Adeste fideles laeti triumphantes,

venite, venite in Bethlehem.

Natum videte Regem angelorum.

Venite adoremus

Dominum.”

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Carl Larsson, "La sera della vigilia" (1904)

VIGILIA: dal latino “vigilia”, propriamente “veglia”. Per la tradizione cristiana la “notte della vigilia” è quella di veglia notturna del 24 dicembre in attesa della nascita di Gesù nella grotta di Betlemme in Palestina. Per attendere il Natale ci si riunisce per la cena, detta appunto della Vigilia , preparandosi poi per la messa di mezzanotte.

Ma quest’anno sono più che mai attuali le parole di Dino Buzzati sulla notte della Vigilia: “C’è poca aria di stelle”.

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Euphorbia pulcherrima

Euphorbia pulcherrima è diventato

il tuo nome in un passaggio di cometa.

Impalpabile bellezza d’altrove  

quella che sento tu emani da dove sei.

Continui, torre d’avorio, a rifulgere  

limpida e sottile rugiada d’ametista.

Non sei sola, a fianco il tuo guerriero.  

Non sono sola, nell’ombra la tua luce.

Ester Maero, da “I colloqui dell’assenza nel giardino dei passi perduti”.

Ps: Questa volta mi cito, ma è per ricordare mia mamma, che ha reso magico il Natale nel mio cuore… Una donna leggera, forte, bella. Adesso, nell’altrove, pulcherrima…

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Auguri sotto il vischio

Francesco Tabusso, "Raccoglitore di vischio" (2006)

AUGURIO: presso i Romani “il presagio sul futuro” che la casta sacerdotale degli “àuguri” esprimeva durante un’apposita cerimonia, interpretando la volontà degli dei. Col tempo il termine ha assunto un valore prevalentemente positivo di “buon presagio”,  nascendo poi l’espressione augurale usata in occasione di alcune festività.

Un simbolo di buon augurio durante il periodo natalizio è il vischio, pianta considerata anticamente sacra e dono degli dei. E’ infatti usanza diffusa regalare un ramo di vischio (detto “ramo d’oro” nell’Eneide di Virgilio), nonché salutare l’arrivo del nuovo anno baciandosi sotto uno dei suoi rami.

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A segnalare l’arrivo dell’inverno, da sempre, è per primo lo scricciolo che si avvicina alle case degli uomini. E’ il più piccolo degli uccelli europei, un batuffolo raccolto di piume brune con fini striature più scure e una piccola e breve coda sempre portata all’insù. Il suo richiamo è come un leggero tocco su un campanellino d’argento: è con questo che chiama la neve.

Mario Rigoni Stern, da “Stagioni”.

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L’uno è protagonista assoluto della scena natalizia. L’altro è l’outsider che crea l’atmosfera del Natale.

L’uno è festa piena, come il suo sapore tondo. L’altro è soffusa eleganza, quanto il suo soffice gusto.

L’uno è glassa, canditi, uvetta, e chi più ne ha più ne metta… L’altro è cascata di zucchero e vaniglia, e tutto si fa meraviglia…

Ad ognuno la sua delizia golosa.

Ps: provate ad indovinare la scelta di Es…

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Nei nostri boschi, l’albero possente, il signore del castello per il quale tutti nutrono grande rispetto, è l’abete bianco. E’ il vecchio protettore, colui che dal suo eremo, raggiunta l’età della saggezza, controlla tutto e tutti. Anche il nome, sereno e pacifico, lo aiuta. Alto e maestoso, si sviluppa largo e diritto. In altezza, può raggiungere anche i cinquanta metri. Da lassù parla con la luna e vede tutto e tutto sa. La sua crescita è lenta e laboriosa perché deve apprendere la difficile arte del condottiero, del grande saggio che, imparziale come Salomone, appiana e dirime tutte le dispute del bosco sul quale regna. La calma dell’abete bianco è solenne e tutti gli alberi, anche i più invidiosi e cattivi, lo accettano nel ruolo di grande controllore e padre. Non è però uno sterile applicatore di leggi e commi, bensì un sereno giudice di pace che dispone di grande sensibilità. Esercità l’autorità senza arroganza. Molti uomini che detengono il potere dovrebbero ogni tanto sedersi all’ombra di un abete bianco per ascoltare i suoi consigli e seguirne l’esempio. Da vigile custode del bosco, l’abete bianco ha per tutti una riserva di attenzioni , ma dei più deboli e dei maltrattati si occupa con maggiore scrupolo.

Mauro Corona, da “Le voci del bosco”.

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La ricetta in sé è semplice: 1 uovo, 1 cucchiaio di zucchero, mezzo cucchiaino di maizena, 1 noce di burro, marmellata di arance, zucchero vanigliato. Per la fiammata una goccia di Grand Marnier.

La leggenda racconta che questo dolce sia nato nel 1896 al Café de Paris di Montecarlo dove, in presenza del Principe del Galles, il futuro Edoardo III (d’Inghilterra), il giovane Henry Carpentier, apprendista pasticciere al servizio del grande chef Auguste Escoffier, fece cadere per l’emozione del brandy sulla crepe che stava preparando davanti al principe, e la crepe si infiammò. Ma il giovane “spense” la fiammata con un po’ di zucchero, definendo questa crepe “Principe di Galles” in onore dell’illustre ospite. Il principe però, pur lusingato, si voltò verso la dama a lui vicina chiedendole il nome. Era Suzette, e voilà la crepe Suzette.

Io la amo consistente, anche perché va piegata due volte come una pochette da taschino, quindi le dosi sono per una singola crepe. La preparazione è veloce, ma va goduta appieno: sbattete con la forchetta l’uovo intero aggiungendo lo zucchero e poi la maizena. In un padellino antiaderente fate sciogliere una noce di burro e lentamente versate il composto. Sarà un piacere vedere l’uovo rapprendersi alquanto velocemente formando la crepe. Attention s’il vous plait nel voltarla: delicatezza e pazienza con la paletta di legno e un desiderio da esprimere (un’antica usanza francese). Ora i movimenti vanno velocizzati: adagiate un cucchiaio di marmellata, di modo che si sciolga col calore, e piegate due volte il vostro “disco”, così da renderlo pochette. Flambate con un goccio di Marnier e un po’ di zucchero di canna a pioggia che lo caramelli insieme ad un cucchiaio di succo d’arancia. Per la presentazione una spolverata di zucchero a velo e qualche scorzetta d’arancia bagnata dal caramello rimasto nel padellino. Ed ecco la vostra Suzette!

Ps: Da oggi su questo “treno” è attivo il vagone ristorante. Bon appetit!

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Avete presente quella piacevole sensazione di quando si entra nella propria casa e si infilano le pantofole? Con l’immediata impressione che il tempo della velocità resta in sospensione per qualche ora?

E se vi dicessi che quest’anno (scolastico, intendo) succede quando vado a scuola (leggi ” al lavoro”), entrando in una mia classe? Lo so, non ci credete.

Eppure è quello che magicamente accade ogni volta che varco la soglia della quarta A.

Appena entro ed incrocio gli sguardi limpidi di questi studenti che accolgono sorridendo il mio “bonjour”, io non capisco, ma la “sensazione pantofole” si è già impossessata di me. E per quanto io possa essere stanca, tesa, pensierosa, ansiosa, quel gruppo comincia a sortire l’effetto “pantofole”.

Si discute di tutto, affrontando l’alto e il basso del mondo, tra sorrisi e riflessioni, praticando la contaminatio di generi e linguaggi, maneggiando con cura l’ironia e l’emozione di ciascuno. Più volte mi sono chiesta quale fosse l’ingrediente speciale. E ora penso di poter affermare che tale ingrediente sia proprio quel rispetto e quella delicatezza di tutti per ognuno, quell’intelligenza rara che permette di lasciarsi andare sapendo che in nome di quella e della stima reciproca non sarai sopraffatto.

Quando suona la campanella di fine lezione e io sono in quarta A… Lentamente sfilo le “pantofole” e torno nel mondo più lieve.

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