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Archive for novembre 2011

Giorni di censimento

Pieter Brueghel il Vecchio, "Censimento a Betlemme" (1566)

CENSIMENTO: dal verbo latino “censere”, “valutare”, indica la rilevazione svolta per accertare il numero, le caratteristiche strutturali e la distribuzione territoriale delle unità di una popolazione. Il censimento e la sua periodicità (di solito decennale) è disposto per legge dallo Stato.

In Italia il primo censimento ufficiale risale al 1861, subito dopo l’Unità d’Italia. Non ci sono stati gli accertamenti del 1891 per le difficoltà finanziarie del Paese, e del 1941 a causa della guerra. Dal 1926 a occuparsi dei censimenti è l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Quello in corso è il 15° Censimento generale della popolazione e degli abitazioni.

Le prime indagini sulla popolazione risalgono al 3800 a.C. con i Sumeri. Nell’antica Roma i censimenti servivano anche per valutare la classe sociale di appartenenza e le conseguenti tasse dovute. Con l’avvento dell’impero i censimenti vennero estesi alle province conquistate.

Come non ricordare il “censimento di Betlemme” ordinato dall’imperatore Augusto tra il 28 a.C. e il 14 a. C., durante il quale nacque Gesù Cristo?

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“Fare gli italiani”

Ultimo giorno per la mostra, allestita alle Officine Grandi Riparazioni (OGR) di Torino, “Fare gli italiani. 150 anni di Storia Nazionale”.

Proprio dalla frase di Massimo D’azeglio, “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani“, nasce l’idea di “portare in scena” gli elementi che hanno creato un’identità nazionale.

All’ingresso una moltitudine di busti dei protagonisti dell’Italia preunitaria, da Garibaldi a Cavour. Si continua poi tra macchine agricole d’epoca e macchinari di fabbrica, a raccontare una realtà contadina che si trasforma con il boom industriale del secondo dopoguerra. E il “romanzo” italiano si snoda quindi attraverso i numerosi simboli che ancora oggi raccontano l’italianità nel mondo, dalla Vespa alla Lavazza, dalla Fiat alla Olivetti.

Viene da riflettere, soprattutto di questi tempi, su quel verbo, “fare gli italiani“, usato da D’Azeglio. Allora si sentiva la necessità di costruire, preparare gli italiani. Ora forse dobbiamo semplicemente tornare ad “essere” italiani. Forse seguendo proprio le indicazioni dello scrittore: “Gli italiani pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro.

Corsi e ricorsi storici.

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Inaugurata alle Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria Reale la Mostra “Leonardo. Il genio, il mito”.

Un evento che racconta il più grande genio italiano, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, nonché la sua influenza sugli artisti che al suo mito si sono ispirati, da Vasari a Warhol.

Il cuore della Mostra è il celebre “Autoritratto” di Leonardo, conservato nel caveau della Biblioteca Reale di Torino, attorniato dal “Codice sul volo degli uccelli” e da una trentina di disegni dell’artista sull’anatomia umana, le macchine e la natura.

La possibilità di vedere quelle antiche linee così uniche nel loro essere semplicemente belle è l’occasione per tornare a godere della Bellezza. Quella che, per Dostoevskij, “salverà il mondo”.

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Ambrogio Lorenzetti, "Allegoria del Buon Governo" (1338-1339)

Coloro che vogliono avere un buon governo non devono riempire i portici di iscrizioni, ma coltivare nell’anima il senso di giustizia, perché non con i decreti, ma con gli usi si amministra bene la città.

Isocrate, da “Areopagitico”.

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Dure socchiuse melagrane                                                                     

dall’eccesso dei chicchi aperte,

vedo in voi fonti sovrane

fendute da alte scoperte.

Se i solleoni che vi assediarono

oh melagrane squarciate,

frutta d’orgoglio, spezzarono

le vostri pareti arrubinate,

e se l’oro secco della scorza

in gemme rosse di succo esplode

per la volontà d’una forza,

da quella luminosa spaccatura

un’anima che fu mia riode

il segreto della sua architettura.”

Paul Valery, “Le melagrane” (traduzione di Corrado Pavolini).

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Domenica mattina il senatore Monti, ai giornalisti che gli chiedevano una dichiarazione, rispondeva: “Oggi è una bella giornata”.

Vorrei condividere coi viaggiatori di questo “treno” le parole con cui lo scrittore Raffaele la Capria ha raccontato la sua idea di “bella giornata”, cardine di tanta sua produzione, e in particolare del romanzo “Ferito a morte”, Premio Strega 1961.

La mia bella giornata doveva essere una giornata qualunque, una di quelle lunghe tranquille giornate estive simili al trascorrere di una nuvola sull’azzurro indifferente del cielo, dove non accade proprio nulla di rilevante; ma nella mia descrizione doveva corrispondere a tutte le belle giornate qualunque, e dunque contenerle tutte, catturarne il tempo (che ne fa la qualità e le accomuna) e poi i suoni i colori le voci l’aria e «quel vento che ti sfiora, e mai, mai più ripasserà». Ma perché proprio una “bella giornata”? Perché era per me un’immagine primaria, radiosa e irradiante, da cui scaturivano per germinazione spontanea altre immagini tutte legate a momenti assoluti dislocati in un tempo immobile. Queste immagini avrei voluto disporre in un certo ordine ancora a me sconosciuto ma dettato da quella, unica e prima, sepolta dentro di me, ineffabile, e corrispondente al mio sentimento del mondo. Quel “certo ordine” non poteva essere prestabilito, dovevo trovarlo nel processo di elaborazione del romanzo che stavo scrivendo, mentre lo scrivevo, e doveva coincidere con la casualità di quella giornata, sorprenderla nel suo accadere.”

Forse il Professore si riferiva, semplicemente, alla “casualità di quella giornata“, sorpreso lui stesso dall’accadimento di una simile “bella giornata”.

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In quel tempo nessun homo novus, pur illustre ed egregio, era mai stato eletto console, ma Mario per primo, con sorpresa di molti cittadini, nell’anno 647 dalla fondazione di Roma fu eletto console: così fu a capo della repubblica e le giovò.”

Sallustio, da “Bellum Iugurthinum”.

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In scena c’è l’Italia. Tutti la osservano, con preoccupazione e timore.

L’Italia è ammalata. Gravemente. I suoi tessuti appaiono ormai allo stremo.

Si sta discutendo di cure, medici, farmaci, luminari.

E intanto il diagramma della febbre continua a salire.

Tutti i suoi figli sono allarmati, capiscono che si tratta di ore cruciali.

Si giunge al suo capezzale per un consulto straordinario. Un ultimo tentativo per salvarla.

Sta per arrivare qualcuno con ricette speciali, forse. Ma ai miracoli i suoi figli non credono più.

Per ora aspettano. E sussurrano tra loro. La malata, come dice Eduardo De Filippo, “ha da passa’ ‘a nuttata“.

Nel frattempo c’è chi si allontana definitivamente dal palcoscenico. Evitando le luci. E uscendo da un fondale dipinto.

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Gialle, rosse, verdi… Fuochi d’artificio autunnali, le mele.

Gialla come quella d’oro che Paride regalò ad Afrodite perché la più bella dell’Olimpo.

Rossa come quella tanto lucida ed accattivante offerta a Biancaneve.

Verde come quella succosissima della Val di Non in Trentino.

Frutti rotondi con cui condividiamo la stagione fredda, quando i colori in tavola cominciano a smorzarsi.

Mi piace pensare a quando la mordiamo, perché quel gesto atavico, come dice Neruda, è “l’atto più semplice della terra“, con cui “torniamo / per un istante / a essere / anche creature appena create“.

E in qualche modo ci ritroviamo, novelli Adamo ed Eva, in quel giardino originario. Ancora innocenti, già colpevoli. Tornando al “tempo delle mele” dell’intera umanità.

Ps: Nel weekend possibilità di una full immersion tra questi frutti con la fiera “Tuttomele”, in svolgimento a Cavour, in provincia di Torino.


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ESTATE DI SAN MARTINO:

L’11 novembre, San Martino, è considerato un periodo, pur nel tardo autunno, di buone condizioni climatiche, a tal punto da definirlo “estate”. Ciò si deve alla leggenda del cavaliere Martino che, proprio l’11 novembre, viaggiava sotto la pioggia coperto da un mantello. Incontrando un povero coperto solo di stracci decise di tagliare in due il suo mantello donandogliene metà. Il mendicante, dopo averlo ringraziato benedicendolo, sparì. In pochi minuti smise di piovere, l’aria si fece mite e spuntò il sole.

E’ tradizione inoltre che a San Martino si aprano le botti per assaggiare il vino novello, accompagnandolo alle castagne. Rituale raccontato nella poesia “San Martino” di Giosuè Carducci, coi versi “Ma per le vie del borgo / dal ribollir de’ tini / va l’aspro odor de i vini / l‘anime a rallegrar.” 

Un tempo nella vita agricola, durante l’estate di San Martino, venivano rinnovati i contratti agricoli annuali, da cui il modo di dire “fare San Martino”, cioè traslocare. Curioso che traslochi importanti stiano avvenendo, proprio in questi giorni, nelle Stanze del Potere. Che sia finalmente “estate” per il nostro Paese?

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