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Archive for novembre 2011

E’ stato un vero Maestro Monicelli, nel farci ridere facendoci pensare. Costringendoci a guardare in faccia i nostri fantasmi, mettendoci alle corde di fronte alle nostre responsabilità. In modo acuto, intelligente, a tratti cinico. Ma sempre onesto. Chissà cosa direbbe dell’Italia di questi ultimi mesi. Forse quanto aveva detto in tempi non sospetti: “Siamo senza speranza. L’aveva già spiegato Pasolini: la speranza è una trappola, usata dal potente politico e religioso per ingabbiare i poveretti, con promesse di futuro benessere o di paradisiaci aldilà. Non c’è alcuna speranza di riscatto per il Paese. Il vero problema non è tanto la classe politica, che è una minoranza, ma questa generazione, che manda giù tutto senza protesta, cullandosi sulle promesse. È tutta una generazione che va cambiata, anzi rigenerata con urgenza.

E a proposito di rivoluzione ha deciso di dare l’addio alla vita, anche lui come il regista Monicelli, Lucio Magri, fondatore de “il manifesto”. Anche a lui era diventato insopportabile vivere, anche lui lucido nell’atto estremo, anche lui una vita spesa per gli ideali in cui credeva. Già, “ideali”, parola che appare desueta, diafana, quasi intraducibile nella lingua di oggi. In cui l’oggi nasce già orfano del domani. Quel domani che anche Magri ha visto scomparire dal proprio orizzonte. Non è un caso che il suo ultimo libro, “Il sarto di Ulm”, abbia nel titolo il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Come lui Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e quello degli ultimi anni gli è sembrato raccontare solo il fallimento di un’utopia. Così ha deciso di tagliarsi le ali da sé. Resta l’esempio della forza di quegli ideali, anche controcorrente. Una storia a sinistra, ma fuori dagli schemi.

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Sarà che in luoghi simili il tempo sembra aver nascosto le lancette, sarà che quel nome “della Malvasia” ti fa sentire le bollicine di un momento festoso, sarà che da queste parti è passato Dante e il suo esilio, sarà che l’impressione di entrare in un “quadro” senza fare danno qui diventa reale, , il fatto è che soffermarsi su questo ponte di Treviso è proprio una Pausa.

E mentre osservo nell’acqua i riflessi di quanti mi hanno preceduto, mi raggiungono di soppiatto, abbracciandomi, le parole di Fulvio Elvas, quelle che scrive in “Commesse di Treviso”: “Non era solo per la parentela che passava a trovare zio Cyrus. Sul Ponte della Malvasia, a pochi passi dal negozio di tappeti, Stucky si rimirava la vecchia facciata di un palazzo e non c’era, nell’intera città, una parete di pietre che gli piacesse di più. La nobile decadenza della pietra ruvida e macinata, il poggiolo all’acqua, l’abbaino conquistato dai colombi in alto, la lunga canna fumaria che affondava nel muro e spuntava in un camino alla sommità, il gelsomino attorcigliato sul balcone a destra, reste d’aglio e una busta di arance dimenticate sulla finestra dell’ultimo piano. Un insieme che gli muoveva simpatia, il sortilegio del tempo e del disordine.

Parole che sciabordano tra i miei pensieri… Col Maestro, da quella finestra, a farmi l’occhiolino…

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Non fu il mare a raccoglierci 
Noi raccogliemmo il mare a braccia aperte. 

Calati da altopiani incendiati da guerre e non dal sole, 
traversammo i deserti del Tropico del Cancro. 

Quando fu in vista il mare da un’altura 
Era linea d’arrivo, abbraccio di onde ai piedi.

Erri De Luca, da “Sei voci“, in “Solo andata, righe che vanno troppo spesso a capo“.

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Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.

Simone Weil, da “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” (1934).

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Ha quasi trent’anni, ma ha sempre l’aria scanzonata dell’adolescente, con l’orecchio a cogliere i sentori del mondo e l’occhio a fermare le immagini più inconsuete. E’ il TFF, “Torino Film Festival”, ormai giunto alla sua 29esima edizione.

Il red carpet di ieri ha visto i precari accolti nelle loro rivendicazioni da Penelope Cruz, Charlotte Rampling, Valeria Golino e Laura Morante, madrina della manifestazione. Un messaggio per loro anche dal direttore del TFF, il regista Gianni Amelio, che ha dichiarato: “Siamo tutti precari della cultura“.

E a proposito di cultura, ha partecipato all’evento anche il neo ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. E’ la prima volta che succede, e stupisce. Tanto ci siamo abituati male.

E tanto ci siamo abituati male, ci viene persino da canticchiare, nonostante i tempi, quel motivetto: “Siamo fuori dal tunnel, là là, là…“.

Con buona pace dei neutrini.

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Nubifragio nel Messinese

Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano.” –  Alberto Moravia, da “Ho visto morire il Sud” (in “L’Espresso”, 7 dicembre 1980).

Parole scritte poco meno di trent’anni fa, quando l’Italia del Sud si aprì in Irpinia inghiottendo 3000 persone e devastando un intero territorio.

Eppure sono parole diventate tristemente atemporali. Anche in questi giorni in cui il nostro territorio continua ad avere l’acqua alla gola.

E quando succede al Sud sembra tutto più vulnerabile, perché appare, purtroppo, un po’ più lontano da tutto. Anche dal nostro comune sentire.


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Ci manca Freddie.

Ci manca la sua voce. Magica, acuta, malinconica, estrema. Da autentica “Regina”.

Ci manca la sua fisicità da palcoscenico. Esagerata, glam, energica, tanta. Da grande star.

Ci manca il suo essere protagonista assoluto del rock. Da leader istrionico, da icona pop, da indimenticabile mito.

Ci restano addosso quelle intense melodie. Da lui rese uniche. A tratti struggenti.

Ma è come sentire il profumo di qualcuno tanto amato, senza però riuscire a vederlo.

Ci manchi, Freddie.

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Airbus 319

E’ solo una nota. Ma avendo or ora alle spalle un periodo politico caratterizzato da comportamenti barocchi e dispendiosi, la nota diventa una notizia.

Il premier Mario Monti rinuncia all’Airbus 319, l’apparecchio più grande del 31/o stormo, che avrebbe dovuto accompagnarlo con la sua delegazione a Bruxelles, perché gli è apparso eccessivo per una dozzina di persone.

Così ha chiesto e ottenuto il più piccolo Falcon 900, con cui la delegazione italiana è infine giunta a Bruxelles.

Poca cosa, senza dubbio. Ma se siamo un Paese in emergenza economica e la parola d’ordine è risparmio, è confortante notare che anche la “casta” cominci a “volare” più bassa.

Aereo Falcon 900

Questione di stile.

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ideogrammacinese

L’ideogramma cinese che indica la parola “crisi”, “wei-ji”, è composto da due segni: il primo indica un problema o un pericolo mentre il secondo l’opportunità.

Quindi per la cultura cinese la “crisi” racconta la possibilità di migliorarsi nei momenti negativi della vita e del lavoro, mentre per noi occidentali “crisi” è parola negativa, anche nella sua etimologia greca, “separare”.

In effetti nei nostri modi di dire, “sono in crisi d’identità”, “io e mio marito siamo in crisi”, “la crisi finanziaria ci costringe a provvedimenti d’urgenza”, “è vera crisi, rischiamo di non uscirne”, non vi è il minimo sentore di “opportunità”.

E se invece nella “separazione” adombrata dalla parola “crisi” iniziassimo a considerare la possibilità di un nuovo inizio? Di un cammino che devia, con un cambio di passo, per scoprire nuove strade potendo così accedere ad insoliti punti di vista, a paesaggi del tutto inediti?

Lo fece notare John Fitzgerald Kennedy in un discorso a Indianapolis il 12 aprile 1959. Diciotto mesi più tardi divenne il 35° Presidente degli Stati Uniti.

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“La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.

Diffidate dei libri che trattano di quest’arte; sono la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi; al più al più tanto dagli uni che dagli altri, potrete attingere qualche nozione utile quando l’arte la conoscete.

Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino, non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzeruola in capo; basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare.”

“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi

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