Da qualche giorno ho in mente le cicale.
Sarà che siamo in estate e il frinire delle cicale è caratteristica sonora dell’estate mediterranea.
Sarà che fin da bambina porto con me la favola della cicala e della formica, l’estate “carpe diem” della cicala a fronte di una stagione di là da venire, pensata dalla formica che fatica sotto il sole.
O semplicemente sarà che in questi giorni le “formiche” continuano a “tirare la cinghia” anche nell’illusione di una manciata di giorni di vacanza, mentre sono costrette a sentire le chitarre delle “cicale” che ricordano loro che è necessario lavorare, a testa bassa, per non affondare. Ma non per un inverno da godere come nella favola di Esopo, bensì per traghettare sulle loro schiene le cicale. Affinché superino un altro pantano.
La morale di questa “favola” tutta italiana è che ci fanno credere che, con lacrime e sangue, saranno le formiche a superare il pantano. Altrimenti, si è gridato oggi, “sarà il Titanic, non si salverà neppure la prima classe”. Ovvero le cicale? E’ davvero dura smettere di cantare.