Non so se accada a chiunque entri in questo borgo, ma a me accade sempre. Il mondo improvvisamente cambia passo, rallentandolo a dismisura. A tal punto il tempo decelera che, mentre scendi per quei vicoli stretti e saraceni, ti sembra sia “corso” all’indietro, rientrando nei mitici e lenti anni ’60, in cui un bar era ancora un bar e si beveva l’orzata senza conoscere alcun longdrink.
Arrivi alla piazzetta, una cartolina animata, e al vicolo successivo è una manciata di palme con un gozzo ligure adagiato al muro a diventare il proscenio naturale al fondale che ti appare in tutta la sua semplicità e bellezza: un molo di quelli d’antan scevro da qualsiasi trovata architettonica, il frangersi antico del mare sugli scogli, e un chioschetto di bibite e gelati. Nient’altro.
Eppure il luogo è talmente magico che è severamente vietato portarci qualcuno (a cui si vuol bene) per dirgli che non gli si vuol più bene, perché ti risponderebbe con quel titolo lungo e strano del film di Arbore, “FF.SS., ovvero che mi hai portato a fare a Posillipo se non mi vuoi più bene?”.
Baci a chi, nonostante il mondo, si vuole bene.