“Il quaderno degli Alberi antichi e leggendari” di Paola Fantin (2009 – Kellermann editore)
E’ realmente un quaderno, e aprendolo si entra in un bosco fatato.
Intanto per la grafia, quella di un tempo antico, di quando, bambini delle elementari, scrivevamo le lettere tonde e chiare come da abbecedario. Poi per i disegni che accompagnano questi passi tra i “Patriarchi Verdi”, alberi con i tratti di china che raccontano rami e corteccia, colline abbozzate, scorci di borghi, tracce di cartine. E infine per le dettagliate storie di alberi secolari, dal Cedro (alto 26 metri) di Giulio Cesare (e pare sia stato proprio lui a piantarlo) a Chiarano (Treviso) al Leccio di Bucine (Arezzo) che permette di sedersi all’interno della sua chioma, dall’Olivo della Strega a Magliano (Grosseto) coi suoi tre millenni di vita ai tre Larici di San Gertrude (Bolzano) che risalirebbero all’epoca di Annibale e Scipione.
Un viaggio di curiosità, ma anche un viaggio “dentro” perché, come ricorda l’autrice, “ognuno di noi, prima o poi nella sua vita – di grande e piccino – diventa un albero: isolato, chiuso in sé, impenetrabile, indecifrabile, ma soprattutto senza voce”.
Forse avvicinarsi agli alberi ci conduce a toccare le nostre umane cortecce. In silenzio, col dovuto rispetto.