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Archive for aprile 2011

La Citazione

Ma dove sono andate quelle piogge d’aprile che in mezz’ora lavavano un’anima o una
strada
e lucidavano in fretta un pensiero o un cortile bucando la terra dura e nuova come una
spada?

Francesco Guccini, da “Le piogge d’aprile”.

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La Parola

Pasqua: Dalla voce greca “páscha”, adattamento dell’ebraico “pesah” (passaggio).

La Pasqua è una festività che celebra un “passaggio”: nell’ebraismo il “passaggio” del mar Rosso che portò il popolo ebraico alla liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, nel cristianesimo la resurrezione di Cristo, ovvero il suo “passaggio”, o ritorno alla vita dopo la morte.

La Pasqua rappresenta un momento di gaudio spirituale, a tal punto da passare in un modo di dire colloquiale e profano, “esser contento come una pasqua”, a sottolineare un alto grado di contentezza.

Curiosità: la domenica delle Palme è detta “Pasqua fiorita”, mentre la Pentecoste (il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, per ricordare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti con la Madonna nel cenacolo) è detta “Pasqua delle rose” o “Pasqua rosata”.

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Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto.
E’ bella e terribile la terra.

Mario Luzi, da “Passione” (“Via Crucis al Colosseo”).

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Ma che ne sa il Signor B. di una mattina a scuola?

Che ne sa il Signor B. di emozioni condivise, allievi e maestro, dopo l’ultimo fotogramma de “I cento passi” in cui tutti avremmo voluto gridare il nome di Peppino Impastato?

Che ne sa il Signor B. di quando, a meno di due mesi dalla “maturità”, i ragazzi cominciano a fibrillare e tu docente insieme a loro?

Che ne sa il Signor B. della responsabilità che ti senti addosso quando gli studenti, affidandosi a te, ti chiedono cosa ne pensi su un determinato argomento?

Che ne sa il Signor B. di un lavoro che lavoro non è, perché quando esci da scuola i “tuoi” ragazzi, ognuno con la sua storia, stanno con te?

Che ne sa il Signor B. di certe mattine in cui la vita fa fatica a fluire in te e poi, per una strana magia, incontri la classe e tutto naturalmente ricomincia?

Che ne sa il Signor B. della fatica nel consegnare un compito insufficiente, raccogliendo lacrime e malessere di chi, a quell’età, è convinto di essere solo quel compito?

E tutto ciò, secondo il Signor B., è propaganda di una parte politica?

O non è forse il tentativo di “prendersi cura” dei “cuccioli d’uomo”, insegnando loro a pensare con la propria testa, diventando autonomi nelle scelte di vita e nelle analisi sul mondo?

Può la bellezza di un canto di Dante o la meraviglia della relatività einsteiniana appartenere ad un partito? Può una legione di Cesare o la nascita di una stella assumere un colore politico? Può l’orrore dell’Olocausto o “L’urlo” di Munch avere la patente di destra o sinistra? Può un verso d’amore catulliano o il male di vivere montaliano portare altra cifra che la loro universalità?

O non è forse, tutto ciò, quella “staffetta” che va doverosamente passata di generazione in generazione, per imparare e ammirare e ricordare e crescere e continuare?

Peccato che il Signor B. non trascorra mai una mattina a scuola. Ma, come dicono gli studenti, bisogna andare a dormire presto la sera per essere la mattina a scuola…

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“Il calligrafo” di Todd Shimoda (2004 – edizioni Tea)

E’ un romanzo che si muove su tre piani temporali differenti, con tre storie unite dallo shodō, l’arte giapponese della calligrafia. Ed ecco la vera sorpresa di questo libro. Ci sono pagine (illustrate dalla moglie dell’autore) in cui la bellezza degli ideogrammi lascia senza fiato per come un tratto di inchiostro possa raccontare tanto e in modo così armonioso e silenzioso.
E scopri, per esempio, che un tratto ascendente e che ridiscende per arrotolarsi su se stesso significa “è possibile fermarsi scendere per vivere”. Un tratto per un nostro concetto. O che una linea concava sovrastata da un punto dice “nelle tue mani riposerò qui”. O ancora, che un cuore capovolto con un’onda verticale nella parte inferiore racconta  “lo conosco mi piace lo amo da anni e ancora mi si scioglie il cuore”.
Ai margini laterali delle pagine, appunti di calligrafia e, altra sorpresa, di neuroscienze. Perché una pietra contenente inchiostro non è nulla se non in quanto accumulo d’uso, come i nostri processi sensoriali.

Più di un libro, un cammino in punta di pennello.

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L’immagine è proprio quella.
Rosticceria, sabato ora di pranzo.
Il “tuo” pollo ti aspetta. Ma per essere caldo al punto giusto si sta ancora rotolando sotto il sole rovente dello spiedo.
E’ per quello che lo troverai con la pelle abbronzata, con l’olio non del tutto assorbito.
Aspetti la sua uscita con quella trepidazione delle cose che si pregustano, le papille gustative sull’attenti e la salivazione che dimostra la ragione di Pavlov e del suo esperimento.

Un attimo dopo è il maestro cerimoniere a catturare la tua attenzione. Con abili mosse e consumata esperienza afferra lo spiedo e disarciona i polli. Incantato dai sapienti colpi di polso del derviscio rosticciere, sono poi le orecchie a riportarti alla realtà col suono secco e tripartito del trinciapollo, anticipando la suddivisione dell’arrostito al desco casalingo. Perché il mondo, in fondo, si divide in tre “partiti”: quelli del “petto”, quelli delle “cosce”, e quelli delle “ali”. E come sempre la tavola racconta più di succulente sedute psicoanalitiche. Chi ama un approccio asciutto ma pieno alle cose, chi si perde piacevolmente tra le rotondità del mondo, e chi invece si diletta nei gustosi aspetti, anche minimi, della vita.

Spesso però accade ciò che tanto imprevedibile non è, che appartenenti allo stesso “partito” seggano alla medesima tavola, dove, da che mondo è mondo, davanti al pollo già diviso e ancora fumante, qualcuno alla richiesta multipla di quell’unica parte dica: “Ma il pollo ha un solo petto!”. Mai un’equa suddivisione tra sostenitori delle diverse membra e la composizione commensale di una tavola. Tutti a contendersi i medesimi “pezzi”.

Fortuna che parte del godimento del pollo era avvenuta in rosticceria, alla sua vista goduriosa. Con Pavlov a strizzarci l’occhio e noi a pregustare. Riflesso condizionato del pollo arrosto.

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Il poeta e la notte

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

Alda Merini, da “Testamento”.

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Quest’anno, anno scolastico intendo, mi è capitato un corpo intero. Sì, dotato cioè di testa, cuore e pancia. E tutti organi nuovi, cioè sconosciuti. Devo dire che nel lancio dei dadi le cose sono andate per il verso giusto. Cioè bene. Alquanto bene.

Perché ci sono anni in cui ti capita di avere solo cuore e pancia, in altri hai pancia e testa, in altri ancora cuore e testa. Altre annate ti costruisci le parti mancanti con le istruzioni per l’uso, ovvero coi “pezzi” che ti lasciano degli anni precedenti, e a volte riesci da una pancia a costruire una testa, o da un cuore a inventarti una pancia.

Quest’anno invece non devo sforzarmi per nulla, ho un corpo tutto intero.
Una pancia con cui sentire d’istinto e a piene mani il mondo, e con cui il riso nasce all’improvviso così come la sfuriata. E’ proprio una bella pancia, la pancia di quest’anno. Ancora in crescita, piena di potenzialità. E di giovane ironia.
Poi ho un cuore nuovo di zecca. Le pulsazioni giuste, un po’ tachicardico di fronte ad appuntamenti importanti, come è giusto che sia, e un po’ bradicardico al mattino in ripresa, come è naturale che sia. E’ un cuore gonfio di sane emozioni, mai stucchevole, sempre misurato nel farsi presente. Persino elegante nel proprio ritmo.
Per la testa… E’ proprio vero che la testa decide. Perché la testa non è arrivata completamente per sorte. La testa ha in parte deciso di essere la testa del mio corpo scolastico assegnatomi quest’anno. E in certe mattine è ancora lei, la testa, a decidere, se non la rotta di navigazione, almeno l’andatura di crociera. E a volte mi piace lasciarla fare, la testa, di suo, perché deve essere pronta al mare aperto, perché la testa, quella con certezza, la devo riconsegnare.

Certo, come tutti i corpi, ci sono giornate in cui un mal di pancia improvviso o un’emicrania persistente, o un cuore capriccioso ti mettono a dura prova. A volte ti stendono a terra. Nel vero senso della parola. A tal punto che vorresti abbandonare quel corpo, o almeno le parti più doloranti, e per quel giorno dimenticarti un po’ di lui. Perché per certi corpi devi essere un po’ più forte per accettarne le fragilità.

Sarà un problema restituire questo corpo, quest’anno. Mi ci trovo bene, mi sto affezionando. Sto insegnando, sto imparando. Stiamo camminando. Che poi è il senso di un corpo. E della vita stessa.

Ps: le “mie” parti di corpo, loro sì,  sanno le “classi” di corrispondenza…

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L’Incipit

“Il signor Haneda era il capo del signor Omochi, che era il capo del signor Saito, che era il capo della signorina Mori, che era il mio capo. E io non ero il capo di nessuno.
Si potrebbe dire diversamente. Io ero agli ordini della signorina Mori, che era agli ordini del signor Saito, e così di seguito, con la precisazione che gli ordini verso il basso potevano saltare i gradini della scala gerarchica.
Per cui, alla Yumimoto, io ero agli ordini di tutti.”

“Stupori e tremori” di Amélie Nothomb.

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Ormai si fanno le prove di tutto. Per vedere se siamo pronti.
La prova dell’abito, per verificare che ci stia bene, come in vetrina. La prova dello spettacolo, per assicurarsi che tutto funzioni, come da copione. La prova del nove, per controllare che il risultato sia lo stesso, come da precedente calcolo. La prova del cuoco, per misurare le abilità in cucina, come da manuale.

E  quest’anno anche l’estate ha voluto fare la prova. La prova di se stessa. Prima del tempo, fuori dalla sua stagione. Fuori programma. Si è presa un po’ di giorni, a sua disposizione.

Pare che tutto abbia funzionato. Caldo al grado giusto (29) con qualche punta verso l’alto (32), umidità di contorno per recepire una temperatura più fastidiosa, cielo del tutto sgombro da nuvole, qualche folata di vento, föhn perché è quello che ricorda anche nel nome la ventata calda che a comando ti asciuga veloce i capelli.

E noi alle prove generali dell’estate come abbiamo reagito? A fatica  per l’improvvisata, con fastidio per le conseguenze. Tutto troppo in fretta, dal giaccone alla maglietta. E nel giro di una manciata di giorni le fontane sono tornate protagoniste, insieme ai gelati, ai sandali, alla pelle scoperta, ai movimenti rallentati, ai colori azzardati, alle cabine a mare montate in fretta, perché, si sa, la spiaggia non aspetta. Ma chi ha reagito peggio sono gli alberi. Nessuno li ha avvertiti che è solo la prova generale dell’estate, che questa non è l’estate vera. Così i fiori delicati di primavera hanno già ceduto il posto al fogliame verde e prepotente di inizio luglio.

Dicono che tra poche ore le prove generali dell’estate si concluderanno, così che le colorate infradito lasceranno la scena a più stagionali mocassini, le cotolette d’agnello sostituiranno in tavola l’insalata di riso, e le vacanze  estive già sognate finiranno in armadio, lasciando spazio alla più breve pausa pasquale.

Ma alle piante, a loro, chi dirà che, per non prender freddo, devono tornare indietro, risalendo la “corrente” e rivestendo i “panni” delle gemme e delle prime fioriture? Il tempo che va all’indietro. À rebours. Controcorrente. Salmone impazzito di questa primavera. O finta estate.

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